La storia tra le bancarelle di San Faustino, a Brescia e Sarezzo
![La fiera di San Faustino dall'alto - Foto © www.giornaledibrescia.it](https://api.gdb.atexcloud.io/image-service/view/acePublic/alias/contentid/1h7irgnr9fp0dvgbcjl/0/la-fiera-di-san-faustino-dall-alto.webp?f=16%3A9&w=826)
Vi siete mai chiesti come sarà la Fiera di San Faustino, mettiamo, tra mille anni o più? E soprattutto se ci sarà ancora? In mancanza di un parere divinatorio attendibile possiamo, però, girare la domanda al contrario da un punto di vista cronologico. Quando è nata la Fiera, e come? Al primo quesito è difficile se non impossibile rispondere: la bibliografia non restituisce testimonianze su quella che fu la prima edizione ufficiale della manifestazione così come la conosciamo da svariati decenni a questa parte.
Per dirla con don Armando Nolli, già parroco di San Faustino e curatore della prefazione del libro «Ritrovare i patroni» scritto nel 2001 da Franco Robecchi, «la Fiera di San Faustino non possiamo dire che compia cent’anni. Potrebbe averne mille o anche di più».
Qualche dettaglio, invece, possiamo averlo sul come è nata. «Per dare ristoro ai pellegrini che venivano a onorare, ringraziare i santi patroni e chiedere attenzione ai loro bisogni - prosegue don Nolli nel volume di Robecchi -. Gradualmente ha assunto il carattere di festa popolare che ancora incuriosisce. Si viene a vedere cosa c’è di quando eravamo bambini e che cosa è cambiato. La curiosità, però, va oltre le bancarelle. C’è sempre qualche persona che chiede informazioni sui santi patroni e sulla basilica. Si vuol sapere degli affreschi del presbiterio, del quadro del Cossali, dei Benedettini vissuti nel monastero attiguo per undici secoli».
In estrema sintesi potremmo affermare che quella che oggi quasi tutti noi viviamo come una occasione per girare tra le bancarelle, accaparrarsi l’oggetto di culto dell’anno - dal panno al carbonio attivo che promette miracoli nella pulizia delle superfici alla gomma magica per le scarpe - e assaggiare cibo proveniente da ogni angolo dello Stivale, affonda le sue radici nella devozione popolare nei confronti dei fratelli Faustino e Giovita.
I due cavalieri bresciani di nobili origini furono convertiti al Cristianesimo dal vescovo Apollonio e vennero martirizzati il 15 febbraio di un anno compreso tra il 122 e il 136 dopo Cristo per ordine dell'imperatore pagano Adriano in quanto predicatori ed evangelizzatori. Tra gli eventi straordinari che, narra la leggenda, hanno contribuito alla loro elevazione a santi e protettori della città, centrale è l’assedio di Brescia da parte di Milano durante la guerra contro la repubblica di Venezia. Si narra che i due giovani cavalieri il 13 dicembre del 1438 apparirono sulle mura della città mentre respingevano le cannonate a mani nude. Da qui la loro elezione a protettori di Brescia.
![I santi Faustino e Giovita](https://api.gdb.atexcloud.io/image-service/view/acePublic/alias/contentid/1h542bhuh06fpa7asfy/1/i-santi-faustino-e-giovita.webp?f=16%3A9&w=800)
Come scrive Robecchi in «Ritrovare i patroni», «La presenza dei due santi patroni nella storia e nel costume dei bresciani è stata molto forte nei secoli passati». Col passare del tempo, però, la devozione è andata riducendosi, pur restando radicata nella popolazione bresciana. «La ricorrenza del 15 febbraio continua a confermare la sua importanza e la dimensione della sua risonanza, fatta di afflusso di fedeli e di curiosi fino a sfiorare, nell’ambito delle sagre e delle fiere connesse, le dimensioni di una festa di popolo da record nazionale».
La devozione nel Bresciano
Oltre che del capoluogo nel Bresciano i santi Faustino e Giovita sono patroni anche dei Comuni di Quinzano d'Oglio, Chiari, Darfo Boario Terme e Sarezzo. Anche quest’ultimo paese ospita ormai da tempo immemore la Fiera di San Faustino, nota per essere la sagra popolare più importante della Valtrompia, che si svolgerà dal 21 al 25 febbraio. A differenza della gemella cittadina, quella saretina oltre alle bancarelle (200 circa) accoglie anche le giostre: quest’anno saranno una cinquantina.
A Sarezzo
Pare che il culto dei due santi sia giunto in Valtrompia attorno alla prima metà del nono secolo per mezzo del Capitolo della Cattedrale e dei Benedettini del monastero di San Faustino, che in valle avevano dei possedimenti fondiari.
Perfino gli statuti di Bovegno e Cimmo, risalenti al quattordicesimo secolo, stabilivano che la festa patronale del 15 febbraio si dovesse celebrare in tutti i Comuni della valle, mentre lo Statuto di Valtrompia del 1576 imponeva che durante la ricorrenza si stesse a riposo: secondo quanto narra Stefano Soggetti nel libro «Sarezzo, la sua fiera, i suoi santi patroni» non potevano tenersi i Consigli comunali ed era vietato lavorare con le persone e con gli animali «sotto pena di soldi dieci planeti». La festa cadeva in un periodo cruciale per il popolo: dopo i lunghi mesi invernali di isolamento i contadini e i boscaioli residenti nelle valli potevano tornare alla vita di comunità. E la fiera, che durava già allora più giorni, era l’occasione per farlo.
«Le carreggiate cominciavano ad animarsi per il transito dei carri, animali e persone fin dalla vigilia - scrive Soggetti -. Giovani e adulti, smessi gli abiti della fatica quotidiana (i vistìcc de ogni dé), indossati quelli della festa, calzate le scarpe di cuoio (ma solo i più fortunati), sui carri o a piedi, si dirigevano verso la parrocchiale di Sarezzo. Lo spettacolo che si presentava loro era davvero insolito: la piazza del paese era invasa dalle bancarelle, dai richiami dei venditori, dal vociare della folla e dagli schiamazzi dei ragazzi facevano un tutt’uno con gli odori e i colori delle merci esposte».
Ben presto la festa patronale assunse inevitabilmente anche il carattere di una grande sagra paesana nel segno del divertimento e della spensieratezza. Dopo la messa della domenica era d‘obbligo un giro fra le bancarelle con l’immancabile zucchero filato, le ciambelle zuccherate, i confetti col rosolio e il croccante alle nocciole. «Con pochi centesimi si poteva fare una scorpacciata di «patuna» o di “biline” cotte nell’acqua e i ragazzi andavano matti per le “guaine”, la farina di biline e i “belegocc”, che non erano altro che castagne cotte infilzate per farne collane».
![La fiera di San Faustino a Sarezzo - © www.giornaledibrescia.it](https://api.gdb.atexcloud.io/image-service/view/acePublic/alias/contentid/1h7iojf9c22sqthxgca/0/la-fiera-di-san-faustino-a-sarezzo.webp?f=16%3A9&w=800)
L’attrazione principale per grandi e piccini era il circo equestre, che vedeva tre cavalli e una ballerina eseguire salti, corse e giravolte. Altre attrazioni erano i saltimbanchi, l’uomo mangiafuoco, la donna barbuta o quella senza testa. Tra le bancarelle e le giostre si aggirava l’uomo del «verticale», il cantastorie che al suono dell’organetto narrava il triste destino di ragazze tradite e abbandonate dall’innamorato. Ci si poteva imbattere anche nell’individuo che ti proponeva il gioco dei tre campanelli, croce e delizia di chi amava il gioco d’azzardo.
In omaggio alla tradizione secondo la quale San Faustino dava alle ragazze l’opportunità di un incontro con il futuro sposo, la sera del lunedì i giovani si attardavano fino a notte inoltrata nella speranza di trovare il moroso. La festa poteva dirsi davvero finita quando gli ultimi giocatori di morra lasciavano l’osteria e, annusando l’aria, dicevano: «San Faüstì, mercant de nef».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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