L’alpinista bresciano Bonalumi verso la vetta dell’Annapurna
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A volte le montagne celano nel nome qualche piccolo segreto sulla loro natura. Con l’Annapurna I, cima più alta dell’omonimo massiccio in Nepal e decima vetta del mondo con i suoi 8.091 metri sopra il livello del mare, c’è il rischio di cadere in un tranello.
Se infatti è vero che il suo nome, che riprende quello di una divinità indù, significa «colei che dà cibo e nutrimento» per via dei tanti corsi d’acqua che da lì hanno origine, l’Annapurna è però considerata una delle vette più insidiose per gli alpinisti.
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«È una montagna delicata» conferma Matteo Bonalumi, bresciano che il 15 marzo partirà alla volta del Nepal per affrontare l’attacco alla cima del colosso di ghiaccio e roccia. «Decisi che avrei provato a raggiungere la vetta al termine di una tormenta di neve al campo tre del Dhaulagiri - racconta l’alpinista, alla sua quinta spedizione su un ottomila -. Dopo due giorni in tenda vidi spuntare al tramonto l’Annapurna immerso nelle nuvole. È un’immagine che mi porto dietro da allora».
Fino al 2022 circa 350 alpinisti sono riusciti nell’impresa di raggiungere la cima, poco più di dieci gli italiani e uno solo il bresciano, quel Silvio «Gnaro» Mondinelli capace di domare tutte e 14 le vette della terra sopra gli ottomila metri. «Ma numeri e record non mi interessano - sottolinea Bonalumi -, ciò che ora ho in testa è il timore, più una sensazione in realtà, di non essere adeguato all’impresa. È però una cosa normale quando si affrontano queste spedizioni, una volta sul posto però tutto cambia e ti ritrovi, se non a tuo agio, di certo più conscio di ciò che fai e delle tue capacità».
La spedizione
La spedizione durerà 45 giorni, «con il trekking di avvicinamento che è uno dei più belli in assoluto in queste zone» spiega il bresciano autore anche di due libri sulle sue esperienze («Everest, il sogno» e «Lassù, fino alle stelle», entrambi pubblicati da Marco Serra Tarantola Editore). E di fronte l’alpinista si troverà «colei che dà cibo e nutrimento», una montagna «delicata» ed estremamente pericolosa, che per anni ha avuto uno dei tassi di mortalità tra le massime sommità della Terra.
«Sono presenti diverse difficoltà tecniche a causa della parete ripida - conferma Bonalumi -. Ma le criticità sono date principalmente dai tanti seracchi, dagli improvvisi cambi del meteo e soprattutto dalle valanghe, molto frequenti in questa zona».
Al suo fianco ci sarà ancora una volta l’immancabile sherpa, e ormai amico fraterno, Dawa, nel tentativo di portare ancora un po’ più in là la curiosità dell’Uomo, alla ricerca di quell’assoluto che solo il gelo e il vento delle vette del mondo sono in grado di far sfiorare.
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