Verso la finale, Mancini: «Facciamo come gli Azzurri dell'82»
L'estate italiana di Roberto Mancini e i suoi ragazzi è all'atto finale. Con un pizzico di follia e un'inattesa magia, come raccontano i protagonisti azzurri, la nazionale è arrivata lì dove era difficile immaginare nell'anno più pazzo del mondo: a giocarsi, oggi, la finale dell'Europeo in un Wembley pieno nonostante la coda della pandemia, con gli auguri all'Inghilterra della Regina Elisabetta che ricorda di aver consegnato la Coppa Rimet nel '66 a Bobby Moore, e sotto gli occhi del capo dello Stato, Sergio Mattarella, e di un Paese intero che non aspetta altro che festeggiare. Quasi fosse un luglio simile ad altri.
«Nell'82, in questo stesso giorno, festeggiavamo tutti la nazionale di Bearzot campione del mondo: speriamo di ricordare un altro 11 luglio vincente», dice alla vigilia Mancini, che ha pronta la ricetta giusta: «Se i miei ragazzi hanno ancora voglia di divertirsi, ecco gli ultimi novanta minuti...». Per un ct al quale Chiellini ha regalato un'altra definizione («lui è un grande chef»), gli ingredienti sono sul tavolo. Il primo è lo stadio del mito, lo stesso dove nel '92 Mancini pianse con Vialli per la finale di Coppa Campioni persa.
Oggi a tifare Italia contro l'Inghilterra di Southgate e Boris Johnson c'è persino l'Europa di Ursula Von der Leyen, ma la rivincita che il ct cerca è soprattutto in chiave azzurra: «Da giocatore non ho vinto, né con un’Under 21 fortissima, né al Mondiale '90 che avremmo meritato: spero di rifarmi domani da ct». Il pepe lo mettono i 60mila tifosi inglesi che spingono la nazionale di casa a riprendersi il pallone, 55 anni dopo l'unica Coppa alzata, come ha rievocato anche The Queen dal castello di Windsor.
Dall'altra parte, sugli spalti, 7.500 italiani di cui solo un migliaio in arrivo da Fiumicino, impacchettati nelle rigide regole sanitarie Uk. «Ritrovare tanto pubblico dopo mesi di silenzio - ha ribadito in ogni caso il ct azzurro - e in questo stadio è meraviglioso per chiunque ami il calcio: i nostri tifosi speriamo di sentirli alla fine...». A far da legante ai sapori, insomma, è la leggerezza che ha accompagnato Mancini e la sua Italia dall'inizio, anche quando il suo invito a «pensare positivo» era stato equivocato per negazionismo dell'emergenza.
E anche in questo i risultati hanno dato ragione a Mancini: per una domenica londinese da annali, dalla finale di Wimbledon con Berrettini per la prima volta in campo a quella di Wembley, c'è l'Italia intera pronta a scendere in strada. «L'entusiasmo ricreato dalla nazionale è motivo di orgoglio, ma va vissuto con responsabilità», l'appello anti-assembramenti del presidente Figc, Gabriele Gravina, che rafforza quello di Bonucci. In ogni caso, in attesa di una tappa al Quirinale lunedì in coppia anche con Berrettini, Mancini non ci sta all'ipotesi della sconfitta onorevole e sa che l'ultimo miglio è un'Inghilterra mai così sicura di potercela fare. «Questa nazione ha una grande tradizione nel calcio, e la sua nazionale in passato è stata spesso sfortunata: oggi è una squadra solida, Sterling è velocissimo ma in attacco hanno altre frecce».
Contro la rapidità dell'ala di Southgate e la potenza di Harry Kane, l'idea è di restare se stessi. Per questo si va verso la conferma dell'undici titolare delle ultime partite, cui mancherà il solo Spinazzola che a Londra è arrivato - in stampelle - sull'aereo con i compagni, e domani tiferà dalla tribuna. Occhi puntati anche sull'arbitraggio dell'olandese Kuipers, dopo le polemiche per il rigore fischiato su Sterling in semifinale; ma nonostante gli acidi auspici di Byron Moreno («brava Italia, ora vinci l'Europeo», il messaggio dell'arbitro di Italia-Corea 2002), la nazionale scaccia cattivi pensieri: «Le polemiche arbitrali non ci fanno onore», taglia corto Gravina.
In campo, Mancini si affiderà piuttosto all'esperienza di Bonucci e Chiellini per arginare l'attacco atomico dei Tre Leoni, al centrocampo dai piedi buoni guidato da Jorginho, alla fiducia nella strepitosa forma di Federico Chiesa, cui fa da contraltare Immobile in cerca della zampata giusta. «Anche contro la Spagna avremmo voluto fare il nostro gioco - ricorda Mancini -. Ma loro sono stati bravi a limitarci, e più bravi a palleggiare. Il gioco è stato quel che ci ha portato fin qui, non lo snatureremo: dobbiamo pensare a giocare come sappiamo, e sarà una grande partita». Rispetto per l'Inghilterra («simpatica la vignetta degli scozzesi che mi ritraggono come Braveheart») e della sua forza fisica. «Ma il calcio si gioca palla a terra, e alle volte vincono i più piccoli», strizza l'occhio Mancini. Dando voce a quel che più o meno sperano i suoi ragazzi: 60 milioni di italiani.
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