Totti: «Arrivederci Roma. Vado via non per colpa mia»
«Vado via, ma non per colpa mia». In una conferenza stampa organizzata al Salone d'Onore del Coni Francesco Totti ha annunciato le sue dimissioni da dirigente della Roma, ma ci ha tenuto a specificare che la decisione è stata sofferta anche se inevitabile. «Dico che non è stata colpa mia - ha spiegato l'ex capitano giallorosso - perchè non sono mai stato coinvolto in un progetto tecnico. Il primo anno ci poteva stare, ma poi mi ero fatto delle idee chiare. Anche da fuori - ha aggiunto l'ex capitano - continuerò sempre a tifare Roma. È un arrivederci, non è un addio. È impossibile vedere Totti fuori dalla Roma e da romanista non penso che possa succedere. In questo momento prenderò altre strade, è un momento significativo e nel momento in cui altra proprietà punterà su di me sarò sempre pronto».
Finisce così una parentesi della vita di Francesco Totti durata trent'anni, trent'anni di Roma e di amore dissolti in un soffio. A due anni dall'addio al calcio giocato, e a 18 esatti dalla conquista del suo unico scudetto, Francesco Totti lascia definitivamente la squadra della sua vita, dimettendosi anche da dirigente. Dal giorno in cui entrò nelle giovanili della Roma, a 12 anni «scippato» alla Lazio che lo aveva preso dalla Lodigiani, fino al divorzio di oggi è stata una parabola fatta di gol e classe, cadute e polemiche, tutto nel segno della Roma e di Roma, di cui è divenuto nel bene e nel male simbolo, per scelta e a volte perfino suo malgrado.
L'ironia, l'accento marcato, la vocazione naturale alla battuta, ne fanno un campione del romanismo e un produttore instancabile di battute, gag e gaffe. Una seconda vita rispetto a quella del calciatore. «Mo je faccio er cucchiaio», disse a Pirlo prima di battere il rigore all'Olanda nella semifinale di Euro 2000: e rimase il titolo della sua sfacciataggine. Il cordone ombelicale con Roma e la Roma non si spezzerà mai, con una maratona di 30 anni e impreziosita da 307 gol. Da calciatore ha festeggiato le nozze d'argento con la prima squadra, la fine di una favola destinata alla leggenda del calcio perchè il n.10 giallorosso è considerato un campionissimo ammirato da tutto il mondo.
Una carriera inimitabile, a dispetto dei pochi titoli in bacheca, dai campetti in cui cominciò a giocare con la maglietta dell'allora Smit Trastevere fino all'Olimpico, sempre con la stessa voglia di stupire e divertirsi, di inventare calcio e di segnare valanghe di gol, un idolo per generazioni di ragazzi cresciuti studiando le sue magie. Da Pupone a Gladiatore, dai libri di barzellette a quelli da Cicerone nella sua città, dallo scudetto al titolo mondiale, da ambasciatore dell'Unicef agli spot di successo pieni di ironia con la moglie Ilary Blasi, oltre a tanta silenziosa beneficenza. Questo e molto altro c'è nel fantastico mondo di Totti, il romano più famoso dopo Alberto Sordi, uno dei pochi punti fermi di una città in declino, omaggiato perfino dagli ultrà della Lazio.
Ne è passata di acqua sotto i ponti del Tevere dall'esordio del predestinato 16enne di Porta Metronia lanciato da Boskov nel finale Brescia-Roma il 28 marzo 1993, che segna il primo gol con «papà» Mazzone al Foggia il 4 settembre 1994. L'anno dopo diventa titolare, ma poi con l'avvento di Carlos Bianchi rischia una cessione alla Samp. Nel 1998 Aldair gli cede la fascia di capitano che porta per 17 anni. Il ragazzino un pò sfacciato e indolente si trasforma, affina le doti tecniche mettendole al servizio del collettivo con Zeman e con Capello per sbocciare come il maggiore talento italiano del nuovo millennio. Colpi di tacco e cucchiai ma anche visione di gioco, lanci ispirati e assist e la costante di gol a raffica. Solo Silvio Piola lo precede fra i goleador, ma con 250 in serie A è già nella leggenda. Trequartista, seconda punta poi prima punta con Spalletti. E proprio nel primo periodo di Spalletti vive le sue stagioni più prolifiche: nel 2007 vince classifica cannonieri e Scarpa d'Oro, Coppa Italia e Supercoppa. Poi resta protagonista con Luis Enrique, ancora Zeman, Garcia fino al ritorno di Spalletti in un rapporto conflittuale che alla fine logora entrambi. Sul suo raffinato talento, plauso unanime.
Qualcosa tolgono gli improvvisi raptus (sputa a Poulsen, scalcia Balotelli, sente troppo i derby), oltre a due tremendi infortuni e una placca che ingabbia la caviglia da undici anni. Con l'azzurro è amore intermittente: 9 gol in 58 partite, ma il cucchiaio con l'Olanda è uno scapigliato inno alla gioia e il rigore con l'Australia spiana la strada verso il titolo mondiale del 2006. Con la Roma è identificazione totale: capitano dello scudetto, 307 gol in 786 presenze, 250 in 619 gare in serie A. In Europa la perla tra i 38 gol siglati in 103 partite è la bomba che ammutolisce il Bernabeu firmando il successo sul Real il 30 ottobre 2002 ma c'è anche la rete a Manchester nel 2014 con cui diventa a oltre 38 anni il marcatore più longevo della Champions. Ma è sui campi di A che in 25 anni dà il meglio: quello che lo stesso Totti ritiene il gol più bello è il fiammeggiante cucchiaio che sfodera a San Siro (2-3) con l'Inter il 26 ottobre 2005, di pari passo con il colpo da biliardo nella porta della Samp (2-4) il 26 novembre 2006 cha fa scattare la standing ovation di Marassi. All'Olimpico dove 18 anni fa segnò il primo dei tre gol della vittoria scudetto al Parma andò in scena l'addio-show al calcio, il 28 maggio del 2017: quel giorno Totti confessò le paure di «diventare grande», e non pensava solo al ruolo di dirigente che la Roma gli aveva riservato.
In questi due anni, Totti è rimasto solo simbolo, ha inciso poco sulle scelte di Pallotta, ha acuito se possibile i suoi contrasti con Baldini. Lo hanno accusato di non impegnarsi, di non studiare l'inglese, di dedicarsi troppo al padel o al calcio benefico; di fatto, alle riunioni di Boston non c'era, che non lo invitassero o che fosse lui a non voler andare. Così oggi ha deciso di chiudere la sua storia d'amore lunga 30 anni.
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