Rugby

Come gli Artigianelli hanno portato il rugby a Brescia negli anni '50

Padre Giordano Cabra avviò i suoi studenti alla pratica di uno sport che poi ha messo radici
Nel '64-'65: da sinistra il quarto giocatore in piedi è Casella, il sesto Moreschi. Con loro Padre Pelati
Nel '64-'65: da sinistra il quarto giocatore in piedi è Casella, il sesto Moreschi. Con loro Padre Pelati
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Padre Giordano Cabra come Thomas Arnold, gli Artigianelli come The Rugby School, il college inglese dove nacque lo sport moderno. Con una differenza sostanziale, nella scuola della cittadina di Rugby, nel Warwickshire, così come negli altri college inglesi più rinomati, l’impero britannico preparava la classe dirigente del domani.

Agli Artigianelli, più modestamente, si puntava sulla formazione professionale. E dalle aule e dai laboratori allestiti alle pendici del Cidneo, sotto il Castello, sono stati sparsi semi che hanno contribuito non poco alla creazione di piccole e medie aziende del territorio bresciano. Ma anche alla diffusione del gioco del rugby. Quella degli Artigianelli e della palla ovale è una storia che va raccontata per gradi, con l’aiuto di un paio di testimoni d’ eccezione, Rodolfo Casella, classe 1943, prima mediano di apertura, oggi titolare della ElCa di Rezzato, ed Emanuele Moreschi, campione d’Italia con la maglia del Rugby Brescia nel 1975, presidente della Moreschi srl, azienda meccanica di Mazzano, specializzata nelle lavorazioni di precisione.

Tutti e due si sono diplomati agli Artigianelli e tutti e due hanno fatto parte della squadra che padre Cabra, scomparso di recente, aveva inventato per dare un po’ di svago ai giovani collegiali ed approdata negli anni fino alla Serie B. «Negli anni Cinquanta, gli Artigianelli ospitavano circa 400 ragazzi di tutta la provincia, ma non solo - raccontano Casella e Moreschi -, ce n’erano anche che venivano da più lontano, dalla Valtellina e perfino dalla Puglia. Si studiava, si imparava il lavoro, si viveva tutti insieme».

Le giornate cominciavano alle 6 la mattina con la messa e finivano la sera quando si spegneva la luce nelle camerate. «C’erano lezioni anche il sabato - ricordano i collegiali - e pertanto il tempo libero non era molto. Tuttavia nei giorni di festa era necessario trovare un’attività di svago che tenesse occupati almeno nel pomeriggio tutti quei giovani. Qualche volta si andava in Castello ma anche quella passeggiata dopo un po’ veniva a noia».

Il racconto

La squadra dell'Artigianelli al vecchio Rigamonti
La squadra dell'Artigianelli al vecchio Rigamonti

Succede così che una domenica, padre Cabra, all’epoca sì e no ventenne, decide di portare al rugby i 40 ragazzi di cui ha la responsabilità come chierico. Il Brescia gioca a Campo Marte, per assistere alle partite non si paga. Scatta la scintilla: perché non far provare il brivido di mischie e placcaggi anche quei giovani virgulti, ai quali sicuramente la voglia di correre dietro a un pallone, non manca, sia esso tondo o ovale?

La prima palla per la verità è una via di mezzo tra le due «un pallone da calcio sformato», ride Casella. Dove padre Cabra avesse acquisito la passione per il rugby non si è mai capito bene. «Sta di fatto che una volta, quando ormai era anziano, accompagnandolo a una visita alle suore di clausura, alla Visitazione sopra Salò - è Casella che racconta -, rimasi sorpreso dal fatto che la madre priora, comparsa all’improvviso dietro una grata, in quel silenzio e in quel luogo appartato, dicesse: "ho letto su Civiltà Cattolica che la nazionale di rugby ha giocato molto bene…". Insomma, padre Cabra aveva introdotto al rugby anche le monache di clausura!».

Ma torniamo agli Artigianelli. «All’inizio non è che il rugby fosse visto molto bene dalle gerarchie ecclesiastiche - raccontano - gioco troppo violento, "carnale", diceva qualcuno, e poi ci si metteva le mani addosso…». Tuttavia l’esperimento, piano piano prende piede. Allenamenti nello spazio tra via Musei e Via Brigida Avogadro, dove oggi c’è il complesso museale di Santa Giulia. «Lì di fianco c’era il pattinodromo…noi ragazzi ci arrampicavamo sulla rete per vedere le ragazze che schettinavano con le gonne corte. Misero un telo per separarci da quella vista. Dopo una settimana era tutto strappato…».

Nel frattempo Angiolino Rocchelli, classe 1917, era arrivato alla conclusione della carriera di giocatore, nel 1943 aveva vinto lo scudetto con la maglia dell’Amatori Milano, poi tanti anni nel Brescia. Professore di educazione fisica, Rocchelli offre la sua esperienza per dare forma a quel progetto di rugby ancora embrionale. La sfida è lanciata: dal campionato studentesco gli Artigianelli approdano a quello nazionale juniores.

Una formazione del '66-'67 dopo che la squadra ottenne la promozione in serie B
Una formazione del '66-'67 dopo che la squadra ottenne la promozione in serie B

I suoi giocatori vengono convocati per le selezioni regionali e qualcuno anche con la nazionale giovanile. Poi i campionati ufficiali, il doppio successo nella Coppa Chiolo, la trasferta a Nizza («aspettavano il Brescia, con i suoi nazionali, si videro arrivare un gruppo di ragazzini…»), la promozione, nel 1966, alla serie B. Fino allo scioglimento della squadra, cambiavano i tempi, nel 1969.

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