Orrico, gli Stones e quei 300 giorni al Brescia Calcio
Tagliente, ironico, intelligente, come sempre senza peli sulla lingua. In due semplici parole, Corrado Orrico. Protagonista del libro di Silvio Basso «C’era un ragazzo che come me amava Orrico e i Rolling Stones», presentato ieri all’hotel Master alla presenza tra gli altri proprio dell’ex allenatore delle rondinelle.
Trecento i giorni all’ombra del Cidneo dell’omone toscano, arrivato nell’estate del 1983 con il Brescia in serie C e andatosene prima della fine della stagione. «In verità – racconta Orrico sorridendo – ha scritto di fatto di se stesso attraverso me. I ricordi? Bellissimi, nonostante me ne andai a campionato non ancora finito e fu un errore mio. Ebbi un crollo nervoso, di fatto col mio carattere creai troppa elettricità che poi scottò anche me. A raccogliere i frutti fu poi Pasinato che portò il Brescia dalla serie C alla serie A: la sua bravura fu quella di portare un po’ di normalità, di tranquillità, sfruttando anche parte del mio lavoro».
Ad ascoltare i suoi aneddoti e quelli di Basso anche Salvioni, Pellizzaro, Aliboni, suoi ex giocatori, ma anche alcuni ex dirigenti delle rondinelle e tifosi che quotidianamente erano fuori dalla “gabbia” del Rigamonti a seguire gli allenamenti. «L’idea mi venne dai gabbioni delle spiagge di Livorno, in cui si giocava a calcio per non disturbare i bagnanti. L’idea era ed è tuttora quella di allenare settori, tre contro tre, tipo difesa contro centrocampo. Dieci minuti intensi, di più no perché con le sponde il gioco non si ferma mai, per abituare i giocatori a vivere situazioni non usuali in campo. Molti la criticano, io ancora oggi la ritengo uno strumento non capito e utilissimo».
Della sua avventura a Brescia ricorda tante cose: le bollicine della Fanciacorta, i giornalisti agli allenamenti (tra cui proprio Silvio Basso), il presidente Baribbi. «Un fratello per me, una persona buonissima che mi assecondò in tutto, anche nei miei capricci, come mai altri dirigenti. Ecco perché dico che l’addio al Brescia fu solo per un crollo psicologico mio e non certo per l’intromissione nel mio lavoro di qualcuno dei dirigenti, come di fatto accaduto spesso in altre piazze».
Il Brescia attuale lo vive con affetto, anche se la serie B non è proprio il suo pane. Eppure il pensiero su Pippo Inzaghi, e in generale sulla famiglia Inzaghi, è chiaro. «Pippo mi pare uno che non ha paura, diciamo così, di sporcarsi le mani, lo dimostra la sua carriera. Simone invece mi pare un po’ più di stile britannico… Non so se ha fatto bene ad andare all’Inter, perché alla Lazio ha fatto sì bene, ma aveva un “cane da combattimento” come Tare che si faceva sentire in spogliatoio. Fossi stato nei dirigenti dell’Inter avrei preso entrambi. Lo scudetto? Io sto con Spalletti lo sapete, ma vedo bene il Milan di Pioli per mentalità e gioco. Può davvero essere l’anno buono. Non credo invece nel rientro dell’Inter: la perdita di Conte vale almeno 10 punti».
Nelle parole di Orrico, del finto burbero, in quel parallelismo di Silvio Basso con gli Stones, c’è una parte della storia del Brescia Calcio. Delle rondinelle che in C non vinsero con il toscano in panchina, ma misero il carburante sfruttato poi a dovere da Pasinato per il doppio salto fino in serie A.
In un calcio che, come dice lo stesso tecnico oggi 81enne, ora è fatto spesso più da prime donne che da giocatori. «Una volta a pranzo Gianni Brera mi disse: "Senta Orrico, io non so se lei sia davvero intelligente o faccia invece l’intelligente. Sappia che con i giocatori non serve né esserlo, né farlo”. E aveva ragione».
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