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«Non abbiamo mai creduto al suicidio di Marco»

Velo, Zaina e Boifava: chi ha conosciuto, lavorato, sudato e vinto con Marco Pantani ora chiede giustizia.
Morte Pantani, caso riaperto dopo dieci anni
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«Spero che alla fine si arrivi alla verità vera», dice Marco Velo, una speranza condivisa da Davide Boifava e da Enrico Zaina. Voci bresciane, voci di chi ha conosciuto, lavorato, sudato e vinto con Marco Pantani. Voci di chi non ha mai dimenticato il pirata e ora chiede giustizia.

La riapertura dell’inchiesta sulla morte del pirata riportata dalla Gazzetta dello sport e da Repubblica fa rumore nel mondo del ciclismo e non solo. Dieci anni dopo l’addio al campione trovato senza vita la notte di San Valentino del 2004 in una camera d’albergo a Rimini, tutta la vicenda rischia di essere riscritta. Archiviata come suicidio, gli inquirenti seguono ora la pista dell'omicidio. Qualcuno avrebbe costretto il pirata a bere cocaina. Il perché è tutto da scrivere.

Se Velo si aspetta che emerga una «verità vera», che superi quella tratteggiata forse un po' troppo frettolosamente, un altro compagno di squadra del pirata, Enrico Zaina, dice di aver sempre rifiutato l’ipotesi del suicidio, mentre l’ex manager Davide Boifava racconta di non aver mai creduto alla ricostruzione dei fatti finora consegnata alla storia. Una ricostruzione contro cui la madre di Marco Pantani ha lottato nonostante tutto.

«Me l’hanno ammazzato. La mia sensazione, sin da subito, è che avesse scoperto qualcosa e gli abbiano tappato la bocca». Così Tonina, la mamma del pirata ha commentato la riapertura dell’inchiesta sulla morte del figlio. «Non vedo altre ragioni. Non mi sono mai sbagliata su Marco. Così come non credo che siano stati gli spacciatori. Sono 10 anni che lotto e non mollerò, fino alla fine. Voglio la verità, voglio sapere cosa è successo a mio figlio. Da subito ho detto che me l’hanno ammazzato e, infatti, me l’hanno ammazzato». 

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