La poltrona traballante di Carlo Tavecchio
Nelle ore decisive della sua presidenza, alla vigilia di un consiglio federale dagli esiti tutt'ora imprevedibili («sfiducia» con i calciatori e la Lega Pro che si sfilano e quindi probabile commissariamento da parte del Coni, dimissioni per gestire la nuova assemblea elettiva o prosecuzione del mandato, questa ovviamente la sua soluzione preferita), Carlo Tavecchio rivede davanti agli occhi i tre anni da numero uno del calcio italiano.
Per la precisione 39 mesi vissuti pericolosamente, tra gaffe, riforme, un buon europeo e uno storico addio anticipato al mondiale. Tavecchio, provato dopo le due gare con la Svezia e i giorni di assedio, appare sull'orlo della resa: i suoi più stretti collaboratori gli indicano nelle dimissioni la strada migliore per uscire dal momento più buio della sua gestione. Il presidente, però, ribatte che vorrebbe tentare ancora di resistere, anche se per Repubblica sarebbe ormai pronto alle dimissioni.
Non sono stati tre anni facili quelli dell'ex n.1 dei Dilettanti, passato alla guida del calcio che conta. In principio fu lo scivolone su Opti Poba, poi arrivò la gaffe sugli «ebreacci», in mezzo però un percorso virtuoso di riforme, il via libera al Var, comunque sempre tra ostacoli e detrattori: fino alla rielezione del marzo scorso che sembrava aver blindato il mandato per il prossimo quadriennio. Ma il mondiale senza l'Italia, il primo dopo 60 anni, rischia di dare il colpo di grazia alla leadership di Tavecchio in Figc.
Un percorso a ostacoli quello del presidente federale, che aveva raccolto i cocci di una federazione azzerata dopo il flop ai mondiali brasiliani del 2014. Dall'11 agosto di quell'anno, giorno della sua elezione, si è visto un po’ di tutto, in una partita tra situazioni ereditate e problemi insoluti come il fallimento del Parma, le riforme dei campionati, calcioscommesse. Che l'era di Tavecchio in Figc fosse nata all'insegna della polemica lo si è visto subito con il passaggio a vuoto dell'ex presidente della Lega Dilettanti poco prima di prendere il posto di Abete alla Federcalcio, quell'Optì Poba di cui si scusò subito, lasciando però a critici e detrattori un argomento buono per metterlo sotto accusa.
Tavecchio supera la prima tempesta, diventa presidente della federazione e comincia il lavoro del post Mondiale con un colpo inatteso: l'ingaggio di Antonio Conte alla guida della nazionale. Contratto innovativo, con diritti di immagine inclusi, intervento dello sponsor, e comincia l'avventura: al nuovo ct il compito di ricostruire la squadra, a Tavecchio quello di supportarlo nella battaglia con i club trovando l'equilibrio migliore. Risultato, tra arrabbiature di Conte con la Lega e risultati del campo, l'Italia riparte e si qualifica in anticipo agli Europei. Torneo continentale in cui quell'Italia da lavori in corso riesce eliminare la Spagna, ma finisce la corsa ai quarti, ai rigori davanti alla grande Germania.
La Figc di Tavecchio esce rafforzata dall'Europeo e lavora ai cambiamenti normativi: vara il tetto alle rose con indicazioni precise sul numero di italiani e provenienti dal vivaio. È il primo passo delle riforme, che prosegue con le norme sul fair play finanziario e il lancio dei centri federali; ma al centro c'è la madre di tutte le riforme, la riduzione della serie A a 18 squadre, lanciata e però subito incagliata nelle secche della Lega.
I guai sono sempre dietro l'angolo e spesso arrivano dall'interno: Felice Belloli, successore di Tavecchio alla guida dei Dilettanti, nel verbale di una riunione del direttivo definisce «4 lesbiche» le calciatrici. Nuova bufera, e Tavecchio, ancora sotto pressione, ne esce spingendo Belloli a lasciare. Rieletto il 6 marzo scorso dopo aver battuto lo sfidante Andrea Abodi, Tavecchio spera di essersi messo alle spalle i guai peggiori. Ma restano quelli delle leghe: commissario della Lega Serie A, cerca di scavallare anche gli ultimi ostacoli. Ma il peggio deve ancora arrivare: per scongiurarlo definisce un'apocalisse l’eventuale esclusione dell’Italia dai mondiali. Un incubo che diventa poi realtà.
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