La nuova vita in campo di Nardo Casolari: «Voglio solo giocare»
Al fischio finale di Verona-Calvisano, Nardo Casolari ci mette un bel po’ a rientrare negli spogliatoi. Fa freddo, ma il flanker del club giallonero indugia sul prato del Payanini Center, quasi a voler prolungare le sensazioni del ritorno in campo, dopo tredici mesi di attesa. Ha giocato una ventina di minuti, ma non gli bastano.
«Ci ho messo un quarto d’ora a ritrovarmi - dice - ero emozionato, poi ho cominciato a ricordarmi com’era e, subito dopo, l’arbitro ha fischiato la fine. Non ho potuto fare molto. Adesso voglio solo continuare a giocare, il più possibile».
Ad attenderlo ci sono il padre Pierre, armato di macchina fotografica, e il fratello Brando, un anno più grande, è lui che ha dato a Nardo l’esempio con la palla ovale. L’abbraccio è struggente. «È stata una settimana difficile - dice il papà - nei giorni scorsi è morto mio padre (il nonno di Nardo, ndr) ed adesso è rinato mio figlio. Si è un chiuso un cerchio della vita».
Nardo Casolari non giocava a rugby dal 7 dicembre del 2017. A Calvisano era arrivato l’estate precedente, azzurro U20, con un ginocchio convalescente. Il rapido recupero, l’esordio in giallonero a Heidelberg a ottobre, quattro partite di campionato e, all’improvviso, alla vigilia di Natale, la corsa in ospedale con un braccio gonfio, il ricovero in rianimazione per una trombosi venosa profonda.
«Avevamo paura che morisse - confessa onestamente il fratello -, il nostro primo pensiero in quei giorni non era certo se sarebbe tornato in campo o meno». Il rugby non era il pensiero dei familiari, ma certamente quello di Nardo. «Io a un certo punto ho provato a dire che forse non avrebbe più potuto giocare - ammette il padre -, ma lui non ha mai voluto mollare. Non ha dato retta alle mie preoccupazioni. Anzi ha continuato ad allenarsi».
«Quelli che giocavano con me andavano avanti - racconta il ragazzo -, qualcuno nel frattempo era arrivato addirittura in nazionale. Io a casa, arrabbato...». Alla fine arriva la diagnosi: sindrome dello stretto toracico, un problema su cui si può intervenire chirurgicamente, allargando lo spazio che fisicamente impedisce una circolazione regolare. La soluzione sono due operazioni, l’ultima a dicembre. A rimetterlo in condizione di giocare un chirurgo degli Spedali Civili di Brescia che, guarda caso, aveva un passato da rugbista: Gianbattista Botticini, ex mediano di mischia del Brescia e del Rovato. Sabato a Verona, l’esordio nella nuova vita.
«Ero emozionato, avevo paura di fare qualche sciocchezza e far danno alla squadra», dice . Ma è andato tutto bene, il passato adesso è una storia da raccontare. Agustin Cavalieri lo prende in giro: «Hai giocato pochi minuti e già ti fai intervistare…». Già pochi minuti che cancellano tredici mesi d’inferno.
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