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«Io, da Odolo a Napoli per Diego vi racconto i miei anni con lui»

Cecilia Pagni, segretaria di Maradona dal 1984 al 1991, racconta del Pibe de Oro
Cecilia Pagni, di origini odolesi, nel giorno del matrimonio con un testimone d’eccezione: Maradona - Foto © www.giornaledibrescia.it
Cecilia Pagni, di origini odolesi, nel giorno del matrimonio con un testimone d’eccezione: Maradona - Foto © www.giornaledibrescia.it
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«Il nostro primo incontro? Non gli aprii la porta, perché pensai fosse uno scherzo». Da Buenos Aires a Napoli, passando per Odolo: c’è una forte radice bresciana nella storia di Cecilia Pagni, colei che negli anni partenopei fu la segretaria personale di Diego Armando Maradona. Un racconto pieno di aneddoti ed emozioni, ma anche di tanta nostalgia, fatto da chi ha vissuto a fianco del Pibe de Oro nei migliori anni della sua carriera. Una rapporto di lavoro che si trasformò presto in un bel legame di amicizia, tra due persone diverse che però riuscirono a trovare subito un’intesa. A tal punto che Diego accettò volentieri di farle da testimone quando sposò il suo Riccardo, in un matrimonio celebrato di lunedì per evidenti problemi organizzativi legati agli impegni calcistici dell’argentino.

Ma cominciamo con ordine e riavvolgiamo il nastro, tornando a Odolo. Cecilia lascia il lavoro al Banco di Napoli di Buenos Aires per venire in Italia. È l’agosto del 1983: «Mio nonno era odolese e la sua famiglia ha vissuto in quel paese per tutta la vita - racconta dal capoluogo campano, dove ancora risiede -, lì stavano tutte le cugine di mia mamma, che io chiamavo zie, ovvero Lucia, Cecilia e Bianca, quindi quando partii dall’Argentina, mi fermai lì. Ci rimasi più o meno un anno, poi arrivò la chiamata».

L’evento che stravolse la vita dell’allora signorina Pagni accadde nel settembre del 1984? «Diego passò dal Barcellona al Napoli e il suo manager, Jorge Cyterszpiler, si mise a cercare una segretaria. Requisito fondamentale però era la nazionalità: doveva essere argentina ma che sapesse parlare l’italiano, visto che Maradona voleva una madrelingua. Fui contattata da alcuni miei amici della filiale italiana della banca in cui avevo lavorato e mi fu fissato un colloquio. Raggiunsi la città partenopea e fui assunta immediatamente. Così da un piccolo paese bresciano in Valsabbia mi ritrovai in un lampo catapultata in una dimensione esponenzialmente più ampia».

Cecilia non conobbe subito il proprio datore di lavoro, ma solamente un paio di mesi dopo aver cominiciato con la “Maradona Production”, società che si occupava della commercializzazione del brand del campione argentino. Il primo incontro lei non lo dimenticherà mai, perché non fu convenzionale... «Io sinceramente lo conoscevo per sentito dire e per averlo visto vincere il Mondiale Under 20 in Giappone nel ’79, ma non lo avevo mai incontrato di persona. Un giorno lui bussò alla porta del palazzo dove lavoravamo e al campanello disse: sono Diego. Siccome in quel periodo c’era tantissima gente che pur di vederlo s’inventava qualsiasi cosa, pensai fosse uno scherzo e non gli aprii. A quel punto arrivò Cyterszpiler e mi chiese se avessi fatto salire Maradona, perché aveva un appuntamento con lui. Quando mi fu presentato mi tremava la mano: mi scusai con grande imbarazzo. Ogni tanto ripenso a questa figuraccia: avevo lasciato fuori dalla porta il mio capo».

La giornata lavorativa di Cecilia non era delle più semplici, perché «El Diez» era sempre richiestissimo. Che succedeva? «Non era un lavoro facile, anche perché mi occupavo di organizzare le interviste. E ogni giorno ricevevo tantissime chiamate di giornalisti che mi chiedevano di poter parlare con lui. Io dovevo fare da mediatrice, sentendo il giocatore e decidendo il da farsi. Oltre a quello, bisognava fissare gli appuntamenti per i contratti pubblicitari. Prima dovevano sempre passare dal nostro ufficio. Insomma, non ci si annoiava mai».

In questi anni il legame tra voi diventò sempre più forte, anche perché il campione sudamericano era sempre molto disponibile? «Difficilmente diceva di no. È andato per esempio a trovare i ragazzi del carcere minorile Filangeri, ma ha fatto anche tanta beneficenza. È riuscito a vincere un Mondiale da solo, ma allo stesso tempo era una persona umana, come tutte le altre. Non era assolutamente diverso. Avendo condiviso ufficio e casa per tanto tempo, la sua famiglia era diventata anche la mia. Per me lui e la sua ex moglie Claudia erano come fratelli. In quei sei anni Diego mi ripetè spesso: tu sei una di noi».

Dopo la vittoria del primo scudetto del Napoli nel 1987, lei si unì in matrimonio a Riccardo. E chi fu l’ospite speciale dell’appuntamento? «Per lui mi sono dovuta sposare di lunedì, anche perché era il mio testimone di nozze e non poteva assolutamente mancare. Durante la settimana quello era l’unico giorno libero. La squadra tra l’altro doveva partire il più presto possibile per la Spagna per affrontare la prima partita di Coppa Campioni contro il Real Madrid. Per trovare un accordo parlai anche con l’allenatore Ottavio Bianchi, che mi diede il suo consenso».

Per raccontare meglio chi fosse e come vivesse Maradona, ci ricorda un altro aneddoto? «Una volta, con la sua famiglia, decidemmo di andare a vederlo giocare in trasferta sul campo della Fiorentina. Noleggiammo un minivan da dieci persone e andammo allo stadio Franchi. Al ritorno Diego decise di venire con noi. Morale della favola: abbiamo fatto tutta la strada da Firenze a Napoli senza poterci fermare nemmeno una volta, perché ad ogni autogrill trovavamo migliaia di tifosi napoletani. Se lo avessero visto, non saremmo mai più ripartiti». 

Dopo quegli anni uscì dal mondo del calcio, ma al contrario di Maradona, rimase a Napoli e continuò la propria vita. Nel corso di questi anni è salita spesso per andare a trovare i fratelli, Maria Aurelia a Roma e Fabi a Brescia, spostandosi poi in Valle Sabbia per vedere i genitori, che ancora vivono a Odolo: Alberto e Tati. Quest’ultima domani compie 90 anni. Un compleanno che però verrà festeggiato con un po’ di amarezza, perché tutta la famiglia Pagni, avendo conosciuto la «Mano de Dios», sta soffrendo molto per la sua scomparsa. «L’ultima volta che lo vidi fu a Cesenatico, nel 2005, quando venne in Italia per gestire una scuola calcio con Salvatore Bagni. Lo raggiunsi e mi feci scattare l’ultima foto insieme a lui. La notizia della sua morte mi ha sconvolto. Sono scoppiata in un mare di lacrime, rimanendo impietrita, perché non me lo aspettavo. Ho vissuto con lui anni di vita meravigliosi, che ricorderò per sempre. I difetti li abbiamo tutti, compreso Diego, ma vedere queste testimonianze d’affetto, da tutte le parti del mondo, mi fanno capire che in fondo in fondo tutti lo amavano. D’altronde era Maradona, una persona normalissima che quando giocava a calcio si trasformava in un extraterrestre».

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