Sport

I 60 anni di Altobelli: «Imparai a giocare grazie a un burrone»

Altobelli compie 60 anni: «Mi piacerebbe contribuire a fare qualcosa per Brescia. Sarò sempre grato alla città per avermi fatto diventare uomo»
AA

È festa grande a Sonnino per i 60 anni di Alessandro Altobelli, un evento che la cittadina laziale ha deciso di celebrare per una settimana intera. Il paese è ebbro di gioia. Chi l’ha visto crescere, maturare, giocare e vincere, lo sta abbracciando ogni giorno ricordandogli aneddoti, partite, gol, ma anche momenti di vita quotidiana; chi non ha avuto questa fortuna si è informato e lo sta festeggiando a suo modo. Ieri sera in piazza c'erano duemila persone per festeggiare Spillo, non male per un borgo che ha poco meno di seimila abitanti.

Spillo, emozioni grandi?
«Grandissime. I momenti più belli sono quelli nelle scuole con i bambini. Mi hanno riempito di disegni. Uno in particolare mi ha colpito e ritraeva mia madre che cullava un bambino appena nato con la maglia dell’Inter».



Cosa le chiedono bambini e ragazzi?
«La domanda più ricorrente è come ho fatto ad arrivare al successo partendo da un paesino così piccolo. Io a tutti dico che nella vita è fondamentale avere un obiettivo, un sogno da raggiungere e portarlo a termine. Io prima speravo di debuttare tra i professionisti e ci riuscii a 18 anni in serie C con il Latina. Poi sognavo la serie B e la trovai a Brescia, una grande città. Poi puntavo alla serie A, allo scudetto e ci riuscii con l’Inter. Infine la Nazionale: il sogno di tutti è giocarci, io ho fatto di più, ho vinto un Mondiale e segnato in finale. Il massimo. Ovviamente non ho rimpianti».

Com’era Altobelli da bambino?
«A Sonnino non c’era un campo da calcio. Giocavo in un cortile dietro la scuola di venti metri quadrati e lì vicino c’era un burrone. Dovevo stare attento a non far cadere il pallone perchè andare a recuperarlo sarebbe stata un’impresa e soldi per comprarne uno nuovo non ce n’erano. Posso dire che ho imparato a giocare a calcio proprio grazie a quel burrone».

Questo significa fare dei sacrifici?
«Certo ed è quello che sto cercando di far capire ai ragazzi del giorno d’oggi. Che hanno molto più di quanto avessi io alla loro età, ma non per questo devono accontentarsi e pensare di non avere più sogni».

Quanto è cambiata Sonnino da quando lei la lasciò? «Molto. Dove una volta c’erano campi e quel famoso burrone oggi ci sono case, palazzi. Mi sono emozionato però nel tornare a parlare nella scuola dove andavo da bambino e da dove ancora oggi si vede casa mia».



Cosa altro le stanno chiedendo in questi giorni gli studenti?
«Vogliono sapere cosa provavo nel segnare un gol e perchè non esultavo. In realtà questo è un falso storico. Non è vero che non ero felice, semplicemente avevo inventato un modo tutto mio di festeggiare un gol. Alzavo il braccio, tenevo il dito indice alzato e aspettavo che i compagni mi venissero ad abbracciare. Volevo condividere con loro quella gioia perchè io ero solo il terminale, il finalizzatore del grande lavoro che faceva tutta la squadra. Una volta però ricordo che con l’Inter segnai un gol particolarmente significativo e mi aggrappai alla recinzione che ancora c’era a San Siro: la scrollai un paio di volte e anche la gente rimase stupita perchè non era abituata a vedermi così».



Quell’Italia-Germania 3-1 del 1982 resta il ricordo più bello di una carriera?
«Sicuramente è stato il punto più alto. In quel momento avevo capito che il mio sogno di bambino si era realizzato. Ma ci sono anche tanti altri momenti belli: il debutto con il Latina, l’arrivo a Brescia, quello a Milano. Queste tre città, oltre a Sonnino dove sono nato, sono stati i miei punti di riferimento».



Brescia la premierà il 22 dicembre insieme ad altri sportivi che si sono messi in luce, quanto si sente bresciano Spillo Altobelli? «Vivo a Brescia da oltre quarant’anni, questa città la sento mia. Certo l’arrivo da voi fu particolare e complicato. Giunsi solo 15 giorni dopo lo scoppio della bomba in Piazza Loggia e avevo un po’ di preoccupazione. Già avevo dovuto lasciare parenti e amici, inoltre arrivavo in una grande città dove non sapevo come muovermi e c’erano pure quelle tensioni sociali con le bombe che scoppiavano. Mia madre era terrorizzata, ma tutto andò per il meglio. Imparai a fidarmi dei bresciani, un popolo magnifico, di grandi lavoratori e capaci di meravigliosi slanci di generosità. Sarò sempre grato a Brescia città per avermi fatto diventare uomo e al Brescia calcio per avermi fatto conoscere al grande calcio. Da lì sono passato all’Inter e ho toccato livelli altissimi. Mi piacerebbe tornare in Italia a fare l’opinionista televisivo (ora lavora in Qatar, ndr) e poi contribuire a fare qualcosa per Brescia. Io sono a disposizione di chi abbia un bel progetto da sottopormi. Sono ancora giovane, ho tante energie».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato