Flop mondiale, l'addio amaro di Prandelli
Il ct di Orzinuovi lascia la Nazionale dopo la sconfitta con l'Uruguay: il calcio italiano è da rifondare.
Flop Italia, Orzinuovi soffre con Prandelli
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Un addio pieno di amarezza, e al tempo stesso dai toni forti. Cesare Prandelli lascia, e con lui - ma indipendentemente da lui - si dimette anche Giancarlo Abete. E il calcio italiano crolla tutto. Il commissario tecnico ha chiuso la sua esperienza alla guida della nazionale dopo quattro anni, e nonostante un rinnovo appena firmato. Soprattutto, ha chiuso un’intera epoca. Causa il fallimento tecnico del Mondiale concluso dopo sole tre partite, ma non solo.
«Siamo l’unica nazionale che parte senza il tifo della sua gente, poi però si chiede col Mondiale di risollevare le sorti della nazione: quando siamo partiti quasi ci vergognavamo di andare al Mondiale», è stato lo sfogo di Prandelli dopo la sconfitta con l’Uruguay. Ma il punto di partenza era stato, in precedenza, l’assunzione di responsabilità e la scelta consequenziale di dire addio all’azzurro. «Il responsabile sono io, il progetto era mio e non è stato un progetto vincente: mi prendo le responsabilità e mi dimetto. E sono dimissioni irrevocabili», l’annuncio del ct.
L’uno-due dell’espulsione di Marchisio e del gol di Godin sembrava aver buttato fuori la nazionale del Mondiale, e invece ha aperto ufficialmente la crisi tecnica, oltre a quella politica. Con un gesto semplice e poco consueto, le dimissioni, il tecnico di Orzinuovi ha di colpo scavalcato i dubbi sulla preparazione, sul ritiro aperto alle famiglie, sul valore di giocatori come Balotelli e sulla gestione di uomini come Cassano.
«Abbiamo un problema di qualità: sapevamo che avremmo avuto difficoltà con certe squadre, quelle che non abbiamo avuto contro l’Inghilterra: il nostro calcio non produce più certi tipi di giocatori, e su questi dobbiamo tutti riflettere. Balotelli? Fa parte del progetto, quello in cui mi prendo le responsabilità del fallimento». C’e appena spazio per recriminare per una partita «falsata dall’arbitro». «L’espulsione di Marchisio è stata clamorosa, era una partita dura ma non da rosso. E su Suarez i guardalinee di solito molto attenti non si sono accorti...A questi livelli - dice amaro - servirebbe la moviola in campo, perchè il calcio è bello quando ci sono due squadre che giocano, e giocano alla pari. Stasera non è stato così. Suarez? - la conclusione - Ci sono i segni dei suoi denti sulla spalla di Chiellini».
Ma Prandelli ammette che quando perdi, nel calcio, le scusanti non servono più. E trasforma la sua assunzione di responsabilità in un duro atto d’accusa al calcio italiano. E anche a tutto ciò che gli ruota intorno. «Da quando ho firmato il rinnovo - confessa pieno di amarezza - qualcosa è cambiato. Hanno cominciato ad attaccarci, come fossimo un partito politico. Ma io non ho mai rubato soldi, si sa che la Figc non prende solo contributi pubblici: pago le tasse e non rubo i soldi pubblici. Certo, la mia decisione non deriva da questo: ma è una considerazione in più...». Insieme alla consapevolezza, più volte confessata in questi anni, che il calcio italiano sia in un vicolo cieco.
«Dobbiamo rifondarlo - il suo messaggio - Bisogna voltare pagina. Partendo dai vivai, e dall’amore per la nazionale. È inutile nasconderlo: l’azzurro non è amato. Siamo partiti per il Brasile con fischi e insulti, quasi ci vergognavamo. Poi però quando entriamo in campo ci chiedono di risollevare le sorti del Paese...«. Poi, l’affondo ai club: »Non c’è collaborazione: basti pensare che abbiamo giocato una partita con la Spagna mercoledì e domenica sera si sono giocati due posticipi di campionato«. Probabile che dalla prossima stagione ci sia uno spettatore in più davanti alla tv. Pieno di amarezza.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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