Da bomber a bagnina: una vita sempre in vasca

I dubbi di Nanni Moretti in Palombella rossa: «Se io guardo a destra, il portiere pensa che tiro a sinistra,…a destra, a destra, guardare a destra, devo guardare a destra e tirare a destra. Il portiere mi lascia spazio a sinistra, no…forse è meglio a sinistra». Irén Rafael, pallanuotista ungherese, quando tirava i rigori di incertezze non ne aveva: due gol su rigore nella finale contro l’Olanda ai Mondiali di Roma del 1994, 7-4 per la formazione magiara. Rafael miglior giocatrice del torneo.
«Macché destra e sinistra...- dice -, io tiravo forte sopra la testa del portiere, o era gol o finivano in porta lei e il pallone». Cinquantaquattro anni, capitano della nazionale ungherese dal 1984 al 1998 (oltre quattrocento partite internazionali), Irén Rafael è stata anche campionessa d’Europa, nel 1991 a Atene, capocannoniera della competizione. Da una ventina d’anni vive a Brescia dove approdò nelle file della Leonessa all’inizio degli anni Duemila.
«Sono stata la prima giocatrice professionista in Europa - racconta con orgoglio -, nel 1988 quando dall’Ungheria mi trasferii a Berlino, allo SG Neukölln. L’anno dopo assistetti in prima persona alla caduta del muro. Ne sono passate tante di storie sotto i miei occhi…». Oggi Irén lavora ancora, immancabilmente, in acqua: l’inverno dà lezioni di nuoto in via Rodi, quest’estate presta assistenza a bordo vasca in un residence della Valtenesi, vista lago e campi da golf. Guai lasciarsi sfuggire una bracciata fuori regola.

Irén Rafael che all’inizio carriera, a Budapest, nuotava a fianco della campionessa olimpica Christine Egerszegi, vi farà severamente notare l’inefficienza del vostro stile. Lei che ha conosciuto oltre ai grandi delle piscine anche Imre Budavari, quello che nel film di Nanni Moretti ossessionava Silvio Orlando allenatore: «Marca Budavari, marca Budavari… Marca Budavari». «Certo che ho conosciuto Budavari, quando sono arrivata a Bologna, nel 1994, lui giocava in Italia. Ci siamo visti anche agli ultimi Mondiali, nel 2017, in Ungheria. Ci hanno fatto una foto insieme». I ragazzini e gli appassionati di cinema la interrogano: «Davvero hai conosciuto Budavari? Ma era così forte?». «Era forte, ma non era un grande campione come Tibor Benedek (il mancino che ha giocato dieci anni nella Pro Recco, tre ori olimpici, scomparso di recente, ndr) o come Tamás Faragó (oro a Montreal nel 1976, ndr) …Loro erano star vere».
Una vocina: star come te? Sorride: «Io non lo volevo dire…». Carriera infinita quella della Rafael: dopo la Germania, Bologna, Albenga, Catania, Torino infine Brescia, prima giocatrice e poi allenatrice. Un fisico ancora imponente, decorato qua e là dai tatuaggi che ne raccontano la storia: la farfalla, simbolo dello stile che lanciò in piscina, Duffy Duck («mi piaceva, mi era simpatico»), il doberman Cunika («carina», in ungherese) che le faceva compagnia (oggi si accontenta di qualche gattino), sulla mano il numero 8 che portava sulla calottina in vasca. Nel 2002, a 35 anni, la promozione con la Leonessa Brescia dalla serie B alla A2: «Feci 90 gol, un campionato vinto terrorizzando le avversarie», racconta. «Eri una delle più forti nel campionato?», le chiedono gli interlocutori più giovani, affascinati dai racconti. «Io ero una delle più forti del mondo…», replica lei con una smorfia che non lascia spazio ai dubbi.

I ricordi dell’infanzia, il nuoto fin da bambina, la scuola per gli sportivi di interesse nazionale a Budapest: «Facevo tutte le discipline, eravamo un paese povero, ma a casa mia c’era sempre da mangiare e c’erano sempre i libri per andare a scuola. La misura di possibilità diverse l’avevamo solo quando andavamo all’estero. Da noi si viveva con una cifra, negli altri paesi serviva il triplo o il quadruplo. Con la nazionale sono stata in Canada, in Australia, in Nuova Zelanda, in Inghilterra, ho giocato due anni in Germania, poi l’Italia, le sfide negli altri paesi d’Europa. A Roma venne a farmi i complimenti Manuel Estiarte (campione spagnolo, medaglia d’argento alle Olimpiadi di Barcellona, oro a Atlanta nel 1996, oggi assistente alla comunicazione di Guardiola al Manchester City, ndr). Il mio rammarico? Non essere andata alle Olimpiadi. La pallanuoto femminile è arrivata ai giochi solo a Sydney nel 2000. Fossi andata ai Giochi oggi avrei una pensione da sportiva in Ungheria…Ma non mi lamento, per anni mi hanno pagata per stare in vacanza. Giocare per me era un divertimento, la Sicilia, la casa a Aci Castello, l’Etna sullo sfondo, una pacchia. Ora guardo i ragazzi che si tirano la palla in acqua, li lascio fare. Basta che non debba tuffarmi per salvarli. E mi piace tenere la piscina come un gioiello. L’acqua limpida non è una meraviglia?».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato