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Da Bedizzole al Congo: «Così curo i muscoli dei calciatori»

Paolo Ringhini lavora come fisioterapista per la nazionale di calcio del Congo, impegnata ora nella Coppa d'Africa
CALCIO, DA BEDIZZOLE AL CONGO
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Da Macesina, frazione di Bedizzole con una ventina di famiglie e nessun negozio, alla Repubblica democratica del Congo, la nazionale dei «Leopardi», passando per il Madagascar con tappa in Gabon. 

Migliaia di chilometri che raccontano la storia di Paolo Ringhini, fisioterapista bresciano, al seguito di alcuni giocatori della Repubblica del Congo impegnata ora in Coppa d’Africa. La squadra, dopo avere vinto il proprio girone, affronterà domenica il Senegal. 

«Un’avventura» come ama definirla il quasi 37enne, che ama il calcio quasi quanto il suo lavoro, tanto da approdare in una terra sconosciuta, «unico di carnagione chiara nello staff del Congo. E quante battute al riguardo». 

Tutto inizia per caso, o quasi. Ringhini si avvicina al pallone nel 2006: Calcinato, Chiari, poi il grande salto al Brescia. Cinque anni con le rondinelle, mentre di pari passo entra nello staff dello Sportlife come assistente del dottor Miglio. 

«Lasciato il Brescia - racconta - grazie a Raul Moselli sono tornato allo Sportlife. Quasi un anno fa, era marzo, Piero Serpelloni mi presenta M’Poku, giocatore del Congo. Parlo con lui, tratto i suoi muscoli e dopo un paio di giorni mi contatta. "Paolo, voglio che mi segui come fisioterapista personale". Non ci ho pensato un attimo, era un’esperienza troppo bella per non coglierla». 

Ringhini inizia così una sorta di «seconda vita» lavorativa, ma anche umana. Va con la nazionale congolese in Madagascar per i match di qualificazione alla Coppa d’Africa, quindi in Guinea per le prime gare in cerca del pass mondiale in Russia. 

«Dovevo lavorare solo con M’Poku, ma poi piano piano molti giocatori si sono avvicinati a me chiedendo di dare una mano alla squadra. Alla fine hanno fatto una sorta di colletta e mi hanno, diciamo così, ingaggiato per la Coppa. Chissà che poi non possa entrare stabilmente nello staff della Nazionale, mi piacerebbe». 

Tanti giocatori, non solo del Congo, frequentano i campionati europei; normale che quindi cerchino professionisti per curare i muscoli. «Mi sono accorto che la fisioterapia è ancora abbastanza sconosciuta in Africa: ai miei colleghi in Nazionale sto facendo qualche lezione la sera con alcuni testi che mi sono portato dall’Italia. Anche questo però è il bello della mia spedizione. Finisco di lavorare all’una di notte, ma so che i giocatori mi apprezzano e ciò va al di là di tutto». 

Coppa d’Africa che vuol dire risultati sul campo, ma non solo. «In Gabon abbiamo tutti l’impressione che siano stati spesi una marea di soldi forse non benissimo. Hanno creato stadi belli e funzionali, ma in mezzo al nulla. Non so a cosa potranno servire una volta conclusa la manifestazione. Anche gli alberghi sono un terno al lotto: ce ne sono di splendidi, ma ci è capitato di stare in uno che aveva 30 posti. E noi siamo in 40. Abbiamo dormito in due in un letto. Anche gli spostamenti sono una sorta di happening: magari ci viene detto che si parte in pullman al pomeriggio, ma non c’è un orario. Prima o poi qualcuno dà l’ok e si sale sul mezzo. Eppure tutto ciò, nonostante le difficoltà, riesce ad essere affascinante». 

L’entusiasmo dei tifosi non manca, «anche se - sottolinea Ringhini - si capisce benissimo quali e quante siano le difficoltà che hanno qui per vivere. Eppure il calcio in questi giorni rappresenta una parentesi bella, una festa, anche se i padroni di casa sono già stati eliminati». 

Intanto il Congo ha un «club» di tifosi anche qui. «Innanzi tutto la mia famiglia: mamma Lory, mio fratello Giuseppe, mia sorella Marilù, ma anche gli amici di sempre Simone, Stefano, Baronio, Veronica, Manuela e Giulia, che mi sta sostituendo allo Sportlife».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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