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Cervi da Collare d’oro: dal fioretto a 7 anni fino al podio

«Sono stato decisivo, il mio punto debole fu il carattere impulsivo»
Federico Cervi -  © www.giornaledibrescia.it
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Il fiorettista ribelle torna in auge un quarto di secolo dopo il ritiro. Lunedì a Roma Federico Cervi riceverà il Collare d’oro, la massima onorificenza dello sport italiano. «Meglio tardi che mai. È un riconoscimento che giunge inaspettato e per questo è molto apprezzato. Non sono salito sul podio olimpico, ma tra Mondiali e Coppa del mondo mi sono tolto più di una soddisfazione». A cominciare dalla chicca per cui lo schermidore bresciano è rimasto unico nell’ambiente: ha partecipato ai Mondiali Assoluti a 18 anni, senza aver prima disputato quelli Under 20.

Accadde a Melbourne nel 1979, quando con la vecchia formula della finale a sei chiuse sesto. L’anno successivo ecco il trionfo ai Mondiali Juniores di Venezia, quindi una lunga carriera farcita da 3 ori mondiali a squadre, la coppa del mondo di fioretto del 1986 e due bronzi iridati individuali.

Nato in città nel 1961, Cervi non ha seguito l’arte familiare della pasticceria, ma ha imboccato la strada della scherma («Su suggerimento di mia nonna, che era una grande appassionata»), impugnando il fioretto a 7 anni, seguito dal maestro Giovanni Nicoli alla Forza e Costanza. Primo titolo regionale a 10 anni, poi titoli nazionale giovanili e già a 16 anni il bronzo agli Assoluti. Un fiorettista capace quindi di bruciare le tappe, in un’epoca in cui la Nazionale era zappa di talenti, tra i quali Cipressa, Cerioni, Borella, Numa, Scuri, solo per fare alcuni nomi. «Al Mondiale non sono mai riuscito ad avere l’acuto individuale, ma nei successi a squadre sono stato sempre decisivo».

Capitolo Olimpiadi: due partecipazioni e tanti rammarichi. «A Mosca 1980 ero l’unico fiorettista presente, il solo atleta civile in mezzo a tanti colleghi militari. Mi ero spaccato la caviglia a giugno e avevo fatto la maturità col gesso. Alla selezione mi fecero correre 400 metri e non so ancora come ci riuscii. In gara non brillai, poi a Casa Italia caddi dalle scale, fratturandomi di nuovo la gamba, così non partecipai alla prova a squadre di spada. A Seoul nel 1988 feci solo la gara per nazioni, mentre nel 1984, quando l’Italia vinse il titolo olimpico, non andai a Los Angeles per scelta tecnica». Sulle tante mancate convocazioni a incidere pesantemente fu il carattere «poco tranquillo» di Cervi.

«Nel 1981, da poco entrato nel gruppo sportivo dei Carabinieri, reagii male quando non mi fecero fare la gara a squadre ai Mondiali. Volevo smettere, ma poi cambiai idea altrimenti avrei dovuto farmi tre anni filati in caserma. Se potessi tornare indietro smusserei un po’ il mio carattere, essendo meno impulsivo». Nel 1987 Cervi fu uno dei fondatori di SchermaBrescia, per cui ha tirato e allenato, tra gli altri anche Andrea Cassarà, fino al 1995, quando un incidente in moto gli ha fatto concludere la carriera: «Rischiai l’amputazione della gamba, da quel giorno la mia prospettiva di vita è cambiata. Ho capito che non conta solo il fisico, ma ci sono tante qualità che vanno sviluppate. Oggi faccio l’osteopata a Brescia e insegno all’Istituto di Osteopatia di Milano».

La dedica del premio è per «il professor Bruno Lorenzini, che mi ha sempre seguito gratuitamente nella preparazione atletica».

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