Trent’anni dall’Anglo Italiano: online il video podcast «Wembley, 20.03.94: io c’ero»
Wembley, 20.03.94: oggi si celebra il trentennale della vittoria dell’unico trofeo che il Brescia abbia mai messo in bacheca nella sua storia ultracentenaria. Questa è pertanto la storia di una emozione rimasta indelebile nella memoria collettiva dei bresciani e per ricordare cosa ha davvero significato quella finale del torneo Anglo Italiano il Giornale di Brescia e Teletutto hanno realizzato «Wembley, 20.03.94: io c’ero», un documentario (video-podcast) curato dai giornalisti Erica Bariselli e Gianluca Magro, disponibile da oggi sul sito del Giornale di Brescia. «Wembley, 20.03.94: io c’ero» verrà trasmesso anche su Teletutto stasera alle 22.
«Una spinta per tornare in serie A»
Furono 2000, quel giorno, al seguito della squadra di Mircea Lucescu. Era un altro mondo, era un’altra epoca, era un altro calcio, era un’altra Italia, quella che si apprestava a inaugurare la seconda Repubblica. Era anche un altro Brescia: che sulla scia del trionfo in terra inglese avrebbe poi marciato verso la promozione in serie A: «Quel trionfo – non ha dubbi nemmeno oggi capitan Stefano Bonometti – fu la spinta per tornare nella massima serie dopo la cocente delusione dell’annata precedente con la retrocessione dopo lo spareggio».
Un torneo, quello Anglo Italiano, semisconosciuto, senza copertura mediatica, che dunque si sarebbe trasformato in una tappa cruciale della storia del club. Ma allora nessuno poteva saperlo, né prevederlo. Tanto è vero che una formula così articolata a inframezzare il campionato non fu inizialmente colta come un’opportunità. L’esatto contrario, anzi. «Al principio – ricorda Maurizio Neri, tra i protagonisti assoluti del trionfo – l’Anglo Italiano venne vissuto come una seccatura». Strano il destino, strano il calcio. Perché in qualche modo fu proprio Maurizio Neri il protagonista tra i protagonisti in quella strana e inedita primavera in anticipo del Brescia. Il suo gol nella sconfitta 3-2 pur nella semifinale di ritorno con il Pescara a premiare le rondinelle vittoriose all’andata con gol di Sabau su rigore avrebbe infatti sancito una spinta incredibile. Ma quel sigillo in quella semifinale, così come tutta l’avventura dell’Anglo Italiano, non sarebbe stato l’unico marchio, nel vero senso della parola, impresso sulla spedizione da parte dell’attaccante. Ma ci arriveremo dopo…
La semifinale con il Pescara fu il momento della consapevolezza: «E nello spogliatoio – dice Stefano Bonometti – ci dicemmo infatti che con una vittoria saremmo rimasti nella storia del Brescia. Perciò, volevamo vincere».
Gli inizi
Ma per arrivare a quel momento fu un lungo cammino. Iniziato il 12 ottobre 1993, peraltro nell’indifferenza quasi totale dei tifosi. Nonostante prezzi popolari, si giocò davanti ad appena 1200 spettatori la partita inaugurale contro il Charlton. Mister Lucescu ne approfittò anche per dare spazio alle seconde linee lasciando a riposo i big. Finì 2-0 con un’autorete propiziata da Gabriele Ambrosetti e il raddoppio dello stesso attaccante di destro – e attenzione a questo particolare – su assist di Bonometti. Una partita che sancì subito, in maniera netta, anche la differenza tra il nostro calcio – in particolare quello di un Lucescu quasi visionario e certamente rivoluzionario per l’epoca – e quello inglese.
La prima trasferta in Inghilterra
In novembre, arrivò il tempo della prima trasferta in terra inglese: tappa a Bolton. In uno stadio dall’atmosfera di vecchio calcio inglese, dal sapore otto-novecentesco. Presenti, oltre a tre giornalisti bresciani, soltanto due tifosi che viaggiarono con la squadra. Si rivelò una partita epica, dal risultato rocambolesco. Protagonista è ancora Ambrosetti, autore di una doppietta, poi Hagi in una gara di saliscendi: Brescia in vantaggio, poi sotto 2-1, quindi il ribaltone prima dell’autorete di Baronchelli per il 3-3 finale. «Il Brescia ne dà e ne prende» titolerà il Giornale di Brescia. Ma quella partita è impressa nelle menti di chi c’era e di chi seguiva i resoconti cartacei, perché ad arbitrarla era un giovanissimo Pierluigi Collina, protagonista suo malgrado di un finale concitato col Bolton a segnare il 4-3 con Lucescu a scattare dalla panchina come un razzo per raggiungere il direttore di gara e, abbassandogli la mano, costringerlo ad annullare quel gol. Chissà cosa sarebbe accaduto oggi sotto mille occhi tecnologici e che sanzione avrebbe rimediato il tecnico…
La semifinale col Pescara
Tornando allo svolgimento della competizione, via via, attraversando anche momenti difficili in campionato, il Brescia tiene ad ogni modo il passo nell’Anglo Italiano che diventa una sorta di medicina. La squadra di Lucescu ospita il Notts County che regola 3-1 con doppietta di Neri e Schenardi poi prima di Natale regola a domicilio il Middlesbrough con Ambrosetti da fuori area.
Si arriva alla semifinale col Pescara: vittoria targata Sabau su rigore dopo 10’ a risultare decisivo nel computo finale dopo il 3-2 patito al ritorno con Landucci, che viveva un dualismo con Cusin, protagonista tra parate ed errori. «Il Brescia della follia guadagna Wembley» titola il Giornale di Brescia con il commento di Gianni Gianluppi che osservava: «Obiettivo centrato nel modo peggiore». Ma in fondo, conta solo essersi guadagnati un notte nel tempio del calcio: appuntamento al 20 marzo 1994 con la finale centrata contro il Notts County che aveva regolato il Southend United.
Nel tempio del calcio
«Che emozione arrivare a Londra e a Wembley… Fu una trasferta lunga tre giorni, Corioni ci fece sentire forti e importanti», le parole di Maurizio Neri. A quel punto i bresciani sì che si mobilitano: sentono la chiamata della storia e rispondono in 2000. Costo della trasferta in giornata: 450mila lire tra biglietto aereo, trasferimento a Londra e biglietto stadio.
L’aria è davvero quella del grande evento, Gino Corioni vuole che sia una festa alla quale sono tutti invitati: anche mogli, figli e fidanzate. Aggregati alla comitiva anche il sindaco di Brescia Paolo Corsini, il padre spirituale del Brescia monsignor Cavalli e il presidente della Lega calcio Luciano Nizzola. Stefano Bonometti: «Wembley? La vivemmo come una gita ma con compiti importanti».
L’attesa della partita, per tutti – tra squadra e tifosi –, è essa stessa partita, ma appunto vissuta con la giusta serenità. La squadra gira la città, visita i grandi magazzini Harrods, si va a caccia di souvenir per stemperare il conto alla rovescia.
Fino a che non arriva l’ora del gioco. Tutto sul filo dei nervi perché a quel punto, una finale è una finale. E il tempio va onorato. La svolta arriva al 19’ della ripresa. Un gol di destro, il piede sbagliato, proprio come nel gol del debutto nella manifestazione. Ambrosetti, il ragazzo arrivato dalla C2 come uomo simbolo, uomo del destino.
È un sogno, qualcosa di indescrivibile. Stefano Bonometti: «Ricordo come unica l’emozione di salire la scalinata di Wembley e ricevere la Coppa». Da un premiante d’eccezione: «Pablito Rossi». Sul prato del tempio esplode la festa. I fotografi immortalano tra gli altri un raggiante Maurizio Neri che, svestita la casacca, sfoggiò una maglietta con il simbolo dei «Timoria». Uno scatto che divenne iconico e che – è il retroscena – fece anche passare qualche guaio all’attaccante: «Perché lo sponsor (Cab, ndr) non fu affatto contento per utilizzare un eufemismo». Un episodio del quale oggi si può sorridere.
Festa fu anche in piazzale Repubblica dove si scatenano i classici caroselli, quelli dei giorni belli. «Sono felice, speriamo che ora la città s’infiammi», commentò durante il volo di rientro Gino Corioni. «Speriamo che la città si infiammi»: un auspicio peraltro ancora valido, 30 anni dopo. Coppa al cielo, cuori in tumulto. Emozioni lunghe tre decenni: Wembley è per sempre.
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