L'Inzagheide: tutta la storia di Pippo al Brescia Calcio, tappa per tappa
A un anno esatto dalle prime indiscrezioni sul suo arrivo, l’avventura di Pippo Inzaghi sulla panchina del Brescia Calcio è conclusa. Portando indietro il calendario di 365 giorni, facciamo il punto sull’ultima stagione, concentrandoci principalmente sulla parabola Inzaghi. Tappa dopo tappa.
Era il giugno del 2021 e ci si chiedeva: da chi ripartiranno le rondinelle? La classica domanda di fine stagione che un anno fa pareva avere una risposta certa: da Pep Clotet. Da chi altri si sarebbe potuti ripartire, se non dall'allenatore che aveva ereditato una squadra a rischio retrocessione portandola fino al turno preliminare dei play off? Ma dopo l'eliminazione per mano del Cittadella, Clotet decise di non restare: troppe cose non gli tornavano, troppi i dubbi. Per la rabbia del presidente Massimo Cellino al quale quello smacco servì per per farne la molla di un rilancio da un punto di vista dell'immagine.
L'arrivo di Pippo Inzaghi
Risalgono esattamente a un anno fa, all’1 giugno per la precisione, le prime indiscrezioni sulla possibilità di un arrivo in panchina nientemeno che di Pippo Inzaghi. Bastò quel nome per riaccendere la scintilla con la piazza. Poi quei rumors divennero col passare dei giorni qualcosa di più, fino a trasformarsi in un «sì» sulla parola di mister Pippo. Il primo impatto con la città avvenne il 9 giugno, nel giorno della presentazione ufficiale allo store di via Solferino: «Sono stato conquistato dal progetto, Cellino mi ha fatto sentire molto importante e poi per me Brescia è un posto davvero speciale» furono le prime parole ufficiali dell'allenatore, che poi partì per le vacanze. «In spiaggia - ci raccontò al telefono il padre Giancarlo - passa il tempo a disegnare gli schemi e a immaginare il suo Brescia».
L'avventura sul campo di Pippo sarebbe poi iniziata il 7 luglio con la partenza per il ritiro di Darfo Boario Terme. Già allora non mancavano i problemi, tanto che due giorni dopo - dalla sera alla mattina - il neo arrivato direttore sportivo Roberto Gemmi se ne andò dando le dimissioni. Inzaghi non fece una piega e Darfo il suo lavoro proseguì senza intoppi.SuperPippo rilasciò anche una lunga intervista a Teletutto nella quale fissò il suo primo obiettivo: «Rendere i tifosi sempre orgogliosi di noi. A Brescia - ribadì - mi lega qualcosa di speciale ed è in questa città che ho scelto di far nascere in autunno il mio primo figlio».
Un clima di idillio disturbato poi con il passare dei giorni dalle incertezze legate al mercato, sul quale poi Cellino accontentò il suo allenatore prendendo tra gli altri - come da richieste del tecnico - i suoi «fedelissimi» Stefano Moreo e Rodrigo Palacio. «Inzaghi ci vuole come l'Italia di Mancini, dove è un tutti per tutti» disse in una intervista il difensore Massimiliano Mangraviti.
Il rapporto con i tifosi
L'«effetto Pippo» aveva contagiato la piazza: social in tilt e ovunque fotografie di Inzaghi («Per me il calore della gente è importantissimo: quando non sono in forma o c'è qualcosa che non va, mi basta scendere per strada, avvertire affetto e tutto passa») con tifosi di tutte le età dentro un rapporto molto profondo e cementato dalla scelta dell'allenatore di prendere casa in pieno centro storico e vivere così fino in fondo la città. Pippo & the city: storia di un amore ricambiato.
Il campionato: l’andata
Pronti via, il battesimo ufficiale della stagione avvenne il 16 agosto nella fornace di Crotone per il primo turno di Coppa Italia: finì col Brescia eliminato ai calci di rigore, ma la squadra emozionava. E in fin dei conti, il focus doveva essere il campionato. Che partì benissimo: con una vittoria 2-0, a firma Bajic sul campo di Terni. A seguire, la festa del gol con vittoria 5-1 alla prima casalinga contro il Cosenza.
Era un Brescia audace, ma che per contro rischiava moltissimo in difesa: il primo campanello d'allarme fu il pareggio subito a Mompiano - in rimonta dal Crotone: dal 2-0 al 2-2. Fino al segnale definitivo di un qualcosa da aggiustare: il ko, sempre in casa, per mano del Como impostosi con un impietoso 4-2. Nel frattempo l'organico dirigenziale si era rafforzato con il gran ritorno di Francesco Marroccu, vero e unico braccio destro mai avuto da Cellino: «I fatti dicono che Marroccu sa lavorare senza di me - disse il presidente del Brescia in una conferenza stampa - ma che io non so lavorare senza di lui». «Vogliamo invecchiare insieme» aggiunsero i due ricongiunti.
Il debutto di Marroccu, mentre in organico era tornato anche lo storico team manager Edoardo Piovani, venne bagnato dal derby contro la Cremonese del 23 ottobre: vittoria in extremis delle rondinelle sull'asse Spalek-Bertagnoli senza la presenza di Inzaghi che era in ospedale ad assistere la compagna che di lì a poco avrebbe partorito il piccolo Edoardo. Un successo col fiocco azzurro e anche col secondo posto, che poi divenne primato tre giornate dopo grazie alla soffertissima vittoria con il Pordenone.Tra un exploit in trasferta e mezzi flop in casa, a fine dicembre i primi rumors relativi a una insoddisfazione di Cellino non per i risultati, ma per la mancanza di una evoluzione tattica del Brescia, con tanto di indiscrezioni relative a possibilità di esonero per Pippo per l'arrivo di Venturato. «È tutto falso» dichiarò in diretta su Teletutto il direttore sportivo Marroccu. Quelle voci lasciarono tracce nel rapporto tra presidente e allenatore che pochi giorni dopo a Torbole fecero la pace davanti a un té caldo.
Il campionato: il ritorno
Il girone d'andata terminò col Brescia a un solo punto dalla vetta nel pieno della sessione invernale del mercato con strategia condivisa dalle parte in un summit andato in scena la sera del 30 dicembre nella sede del Brescia. Arrivarono Sabelli, Andrenacci, Adorni, Proia, Behrami e Bianchi. Via due titolari come Chancellor e Mateju. Parevano esserci nuovi presupposti, ma con sempre sullo sfondo gli ormai mlalcelati malumori di Cellino nei confronti di Inzaghi.«Tra noi distanze ormai incolmabili» dichiarò il presidente, che però non aveva fatto un doppio conto: quello col malumore della piazza che rigettò l'ipotesi di una terza volta di Lopez e quello con la clausola contenuta nel contratto sottoscritto con Inzaghi. In base a quella clausola il tecnico era inesonerabile con la squadra entro l'ottavo posto. Il putiferio, anche mediatico, suggerì al Brescia di tornare sui propri passi con Inzaghi esonerato e reintegrato nel giro di 60 ore con Marroccu immolato in una conferenza stampa nella quale provò a spiegare ciò che era successo. «Ma mi sento più forte di prima, non sarei rimasto a dispetto dei santi e solo per la clausola» dichiarò l'allenatore.
L’arrivo di Corini e la fine dell’era Inzaghi
Mentre Inzaghi masticava amaro e prometteva battaglia al Brescia con richiesta di reintegro o in subordine di risarcimento danni, Corini si insediava riproponendo il concetto dell'anno della promozione: «Ci serve un po' di equilibrio sopra la follia». Sullo sfondo sempre Pippo con una lettera d'addio social al veleno, chiusa con un «la ruota gira» e l'annuncio della sua permanenza a Brescia nonostante l'esonero.
Diventato poi reintegro in occasione del rompete le righe del 26 maggio dopo che Corini, il cui sogno di riportare il Brescia in serie A si è infranto a Monza in semifinale play off, era stato esonerato. Ma quella del reintegro era stata una mossa dettata a Cellino solo dal crescendo nella battaglia legale con Inzaghi. Col timore di dover assistere a un lungo braccio di ferro estivo.Invece, altro colpo di scena: domenica 29 maggio, Cellino e Inzaghi si sono incontrati, hanno siglato una sorta di pace e soprattutto hanno trovato un'intesa per la risoluzione del contratto consensuale. Che potrebbe essere formalizzata proprio l'1 giugno 2022, a un anno esatto dall'inizio dell'«Inzagheide». La cui conclusione riporterà in panchina Pep Clotet. Quando si dice: un cerchio che si chiude.
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