Calcio

I gemelli Filippini, 50 anni sempre di corsa col rock nelle vene

L'intervista doppia ad Antonio ed Emanuele, bandiere del Brescia, che oggi festeggiano il loro compleanno
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50 CANDELINE PER I FILIPPINI
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Antonio ed Emanuele Filippini, per tutti i gemelli del Brescia, compiono oggi 50 anni. In questa intervista si raccontano tra passato, presente e futuro, in campo e nella vita.

Come ci si sente a compiere 50 anni?

Antonio: «Sono felice, un bel traguardo, non sei né giovane né vecchio. Da oggi sarò orgoglioso di dire che ho 50 anni».

Emanuele: «Mi sento bene, a parte quando mi guardo allo specchio e non ho più capelli. Ma vado a correre, gioco a padel, a tennis, in allenamento faccio le partitelle coi ragazzi. Ti accorgi che l’età avanza quando ti dicono "scusi", o "buongiorno" e "buonasera"».

Partiamo dagli inizi: quanto vi è servita la «vita di quartiere»?

Antonio: «Partire da Urago Mella, dall’oratorio, ci ha dato le basi per affrontare nella vita e nel calcio i momenti difficili. In quartiere dovevi sgomitare per emergere e in campo nei momenti di difficoltà è servito».

Emanuele: «Il quartiere mi ha insegnato a stare col ricco e col povero, con l’educato e il maleducato, con l’introverso e l’estroverso. Ciò l’ho ritrovato in spogliatoio e ho imparato a trattare tutti nello stesso modo».

I gemelli Filippini con la maglia del Brescia - © www.giornaledibrescia.it
I gemelli Filippini con la maglia del Brescia - © www.giornaledibrescia.it

Quando avete pensato: «Ce l’ho fatta, sono professionista»?

Antonio: «Dopo 4/5 anni di professionismo. All’Ospitaletto io facevo l’elettrauto, Emanuele il corniciaio. Poi siamo passati al Brescia, io ci ho messo ancora due anni a fare il passaggio mentale. Partivamo da Urago, andavamo a Campo Marte, sembrava tutto normale. E forse mi è servito per tenere sempre i piedi saldi a terra».

Emanuele: «Al terzo anno di Ospitaletto, quando poi sono passato al Brescia, ho capito che il calcio poteva diventare la mia professione. Facevo il salto dalla C alla B, un bel colpo».

Cosa significa per voi nati a Brescia, vestire la maglia biancazzurra?

Antonio: «Per un bresciano che è partito dalla Voluntas vestire la maglia delle rondinelle significa realizzare un sogno. Giochi al Rigamonti, la prima volta non mi sembrava vero. Il massimo. Per noi poi che avevamo fatto anche i raccattapalle allo stadio, figuratevi...».

Emanuele: «La prima volta sono stato orgoglioso di vestire la maglia della mia città, quella di giocatori che stimavo e che vedevo da fuori. E resta anche l’orgoglio di aver fatto parte di un Brescia che ha fatto un pezzo della storia della società, quello di inizio Duemila».

Il compagno più forte con cui avete giocato e l’avversario più ostico.

Antonio: «Il compagno più forte con cui ho giocato è Roberto Baggio, il più ostico dico Baiocco perché era simile a noi, rompiscatole e nello stesso ruolo nostro. Una sorta di terzo gemello. Quello con più feeling? Maurizio Neri, un rocker come noi».

Emanuele: «Concordo con Antonio su Roberto Baggio e su Maurizio Neri, un grande capitano con cui siamo tuttora in contatto. Il più ostico Pavel Nedved, che in campo era fortissimo, ma aveva sempre qualcosa da dire».

L’allenatore indimenticabile e quello con cui vi siete trovati peggio.

Antonio: «Dico Mazzone e Guidolin. Carletto era diretto, coerente, davi il 100% sempre per lui perchè diceva A e faceva A non "A1". Guidolin preparatissimo. Quello con cui mi sono trovato peggio Mimmo Caso alla Lazio».

Emanuele: «Su Mazzone non ho alcun dubbio, ma aggiungo anche Prandelli, perché mi ha insegnato tante cose che poi mi sono tornate utili. Il mio peggiore allenatore? Ezio Rossi a Treviso».

Emanuele, con la maglia del Parma, ed Antonio con quella del Brescia - © www.giornaledibrescia.it
Emanuele, con la maglia del Parma, ed Antonio con quella del Brescia - © www.giornaledibrescia.it

L’esperienza più bella e quella più brutta in carriera.

Antonio: «L’esperienza indimenticabile è il 3-0 al Bologna del 5 maggio 2002. La salvezza, le nostre lacrime e quelle di Corioni, il poter dedicare la serie A mantenuta a Vittorio Mero. In noi quando è venuto meno dentro di noi è scattato qualcosa di magico. La peggiore sempre col Brescia, l’1-1 col Psg che ci fece perdere la finale Intertoto dopo lo 0-0 a Parigi. Potessi la rigiocherei domani, saremmo andati in Uefa».

Emanuele: «Brescia-Bologna del 2002 resta qualcosa di indimenticabile, il momento più brutto lo lego comunque al Brescia: la retrocessione in B del ’97-’98. Ma ero giovane, c’erano tanti "vecchi" in squadra e non sono riuscito a impormi caratterialmente. Vedevo cose che non mi stavano bene ma stavo zitto. Fosse successo 2-3 anni dopo sarebbe stato diverso».

Avete un rimpianto nella vostra vita sportiva?

Antonio: «Non ho rimpianti per quanto riguarda la mia vita sportiva, perché ho sempre dato il 100% in allenamento come in partita».

Emanuele: «Io ho un rammarico che è quello di non aver giocato gli ultimi due anni magari in Inghilterra, anche per imparare meglio l’inglese. Ma allora il calcio italiano era al top e non si pensava ad andare all’estero: peccato»

Quando avete sentito dentro di voi il momento in cui dire basta?

Antonio: «L’ultimo mio anno a Brescia (2010-2011, ndr), finito con la retrocessione, mi ha lasciato dentro tanta amarezza e fatto capire che a 38 anni era ora di dire basta».

Emanuele: «A 36 anni ho iniziato di soffrire problemi all’anca e adesso ho la protesi, lì ho capito che faticavo a tenere il passo dei più giovani. Dissi no alla Carrarese in C perché sentivo di non essere più me stesso».

Mamma Terry è stata per voi un punto di riferimento assoluto...

Antonio: «La nostra famiglia, nostro padre, ci hanno sempre dato sani principi, tra cui umiltà e rispetto per il prossimo, ma mamma Terry è stata fondamentale per la nostra crescita da calciatori: ci ha fatto capire l’importanza di fare sacrifici per arrivare: prima il lavoro, poi il divertimento».

Emanuele: «C’è un aneddoto per mamma Terry: nella Primavera del Brescia, tra una stagione e l’altra, il preparatore atletico ci lasciava una tabella da seguire in estate. Lei veniva sul campo in terra col cronometro in mano ed era un sergente. Otto ripetizioni erano, otto ne andavano fatte. Sette giorni su sette. E anche prima ai tempi dell’Ospitaletto non si poteva sgarrare sugli orari di rientro a casa: guai».

Entrambi siete allenatori: quale l’obiettivo e quale il sogno?

Antonio: «Da allenatore l’obiettivo è quello di ottenere di più rispetto a quanto fatto da calciatore. Ora guido il Genoa femminile, vorrei conquistare il doppio dei punti della passata stagione. Poi in futuro mi piacerebbe confrontarmi con la serie A o B, magari proprio al Brescia...».

Emanuele: «Sono nello staff della Federazione (è vice di Nunziata in Under 20) l’obiettivo è quello di prendere in mano una squadra e portare un trofeo giovanile alla Figc. Allenare il Brescia? Sì, quello è un sogno»

La festa d'addio al calcio a Urago Mella - © www.giornaledibrescia.it
La festa d'addio al calcio a Urago Mella - © www.giornaledibrescia.it

È stato più facile giocare insieme o più stimolante uno contro l’altro?

Antonio: «Molto più facile giocare insieme che contro. Anche perché da avversario non sapevo mai come andare a contrasto...».

Emanuele: «Meglio giocare insieme, contro però ho vinto due volte io col Parma».

Il rock fa parte della vostra natura: la canzone della vita?

Antonio: «Fin dall’inizio la nostra canzone è stata "Born to run" di Springsteen, lo è ancora oggi».

Emanuele: «La canzone resta e resterà sempre "Born to run" di Springsteen, è qui tatuata sul mio braccio».

Chi dei due canta meglio e chi suona meglio?

Antonio: «Emanuele è più portato di me a cantare, sul suonare però...».

Emanuele: «Io canto meglio, Antonio se la cava bene con i "solo" di chitarra. A Vercelli però ricordo che prima di un concerto non si ricordava l’intonazione di una canzone che aveva scritto lui».

Come vi immaginate tra 10 anni?

Antonio: «Tra 10 anni mi immagino ancora in giro con la Harley-Davidson insieme agli amici, non mi vedo sinceramente a 60 anni a fare il "nonno"».

Emanuele: «Non immagino una vita sedentaria, ma di vivere tra 10 anni in un posto più caldo, tipo San Diego o su un’isola».

Un pregio e un difetto l’uno dell’altro.

Antonio:  «Il pregio di Emanuele è la determinazione, il difetto che vuole avere sempre ragione».

Emanuele: «Il pregio di Antonio è la bontà, il difetto che a volte è permaloso». 

Che augurio fa Antonio ad Emanuele? E viceversa? 

Antonio: «Auguro ad Emanuele di fare presto un’esperienza da primo allenatore, se la merita».

Emanuele: «Auguro ad Antonio di trovare in futuro una società in cui possa lavorare per traguardi prestigiosi».

Oggi 50 anni, come festeggiate?

Antonio: «Festa? Tranquilla, pizza in famiglia e una bevuta con gli amici».

Emanuele: «Festa? La pizza con Antonio e famiglia, poi mare in Grecia».

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