Cesare Prandelli: «Abbiamo perso i veri attaccanti: oggi fanno sponda»
«L’evoluzione delle strategie di gioco»: questo il titolo affidato all’ennesimo appuntamento con il «Calcio dei bresciani». Un format ormai collaudato, quello di scena stavolta presso il ristorante Villa Giardino di Paderno Franciacorta, che si rivolge e coinvolge gli allenatori bresciani.
Per l’occasione, un parterre de roi come relatori: Nicola Pavarini, Emanuele Filippini e l’ex ct della Nazionale Cesare Prandelli.
Storico appuntamento
Alberto Pasini in qualità di moderatore della serata apre dunque gli interventi e rimarca la storicità dell’appuntamento, ormai giunto alla quarta edizione e nato con lo scopo di essere un piacevole momento d’incontro e confronto tra gli addetti al lavoro sul territorio.
Senza perdere troppo tempo, ecco allora il benvenuto da parte di Andrea Fedrizzi – presidente della sezione provinciale dell’Associazione italiana allenatori calcio – che, insieme a Giulio Conforti – referente per la Garda Soccer Academy – ha strutturato l’evento in questione.
Tra i vari esperti del mondo del pallone chiamati a sviscerare meglio il tema-cardine, ecco allora Nicola Pavarini che – da ex portiere qual è: oltre 200 presenze tra i professionisti – ha ovviamente posto la lente d’ingrandimento sui numeri uno, mettendo in particolare evidenza alcune modifiche epocali all’interno del ruolo e la relativa evoluzione delle caratteristiche ricercate per poter soddisfare i requisiti utili ai tecnici. «E non mi stupirei – conclude l’ex estremo difensore – che un domani possa addirittura cambiare la nomenclatura: oggi il portiere non è più colui che difende esclusivamente la porta».
Filippini e Cadregari
Il microfono passa poi nelle mani di Emanuele Filippini: «Nel 2024 serve tanta testa per giocare – sintetizza il vice allenatore della FeralpiSalò nonché ex rondinella (ben 200 gare con la «v» bianca sul petto) –. I calciatori devono inoltre essere bravi a ricoprire le due fasi, ovvero quella con il pallone tra i piedi e quella senza».
E così, con cura minuziosa, incalzato dalle domande spigolose del mister Adriano Cadregari, pone sotto i raggi X i portieri, i difensori («i più sollecitati dalla trasformazione»), i centrocampisti e gli attaccanti, cercando di sfruttare tutto il rettangolo verde a disposizione e creare ovviamente più soluzioni possibili per evitare d’incassare gol e metterne anzi a segno per vincere le partite. Al contempo, non va tralasciato il dietro le quinte: dalla preparazione fisica al match-analyst, curando anche la comunicazione (interna ed esterna) e il rapporto con i tifosi. E il futuro? «Non nego che mi piacerebbe una situazione di 10 contro 10», lancia la proposta il gemello «E» dei Filippini.
Prandelli
A conclusione, grande attesa poi per l’ex ct della Nazionale Cesare Prandelli che, a differenza del 2021 (quando intervenne da remoto a causa dell’influenza), incrocia da vicino i propri colleghi e si presta volentieri alle loro domande. E pone immediatamente un paletto: «È fondamentale rispettare le caratteristiche dei giocatori che si hanno in rosa», esordisce.
E poi, rivangando, tira dritto sulla mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali: «Abbiamo perso i veri attaccanti, quelli che devono far gol: oggi spesso si limitano a fare sponda». E, ancora: non manca la lamentela sul famigerato gioco dal basso: «Molti sono retrocessi con questa mentalità. I numeri dicono che solo il 2,6% delle azioni che partono dal portiere arrivano nella metà campo avversaria».
Sulla falsariga, c’è anche la disamina sui fantasisti: «Non ci sono più i numeri 10». E lo afferma, passando per alcuni aneddoti: «Quando ero al Parma, Nakata (schierato come offensivo a destra nel tridente, ndr) mi chiedeva di avere alle proprie spalle Emanuele Filippini in copertura… ma a sinistra Mutu mi garantiva più gol e l’ho tenuto di là». Adesso, invece, prevale un calcio difensivista: «Non saltiamo più l’uomo».
Sì alle cinque sostituzioni
Ad ogni modo premia la novità delle cinque sostituzioni: «Utili, permettono di cambiare il sistema di gioco».
Nel dialogo instaurato con il pubblico, inevitabile a seguire una parentesi dedicata ai «se»: «Dovessi mai ricominciare? Gestirei meglio il rapporto con il direttore sportivo rispetto al passato», taglia corto l'allenatore originario di Orzinuovi. E nel tuffo a ritroso, c’è spazio per rispolverare il capitolo legato all’Europeo del 2012, con lui appunto in panchina a guidare gli azzurri: «Non abbiamo programmato il percorso che potesse contemplare la finale: errore grosso», ricorda con l’amaro in bocca.
In tutto ciò, comunque la si veda, la ricetta per essere dei buon allenatori è comunque una sola: «Essere se stessi». E domani? «Premesso che mi piace essere nonno di cinque nipoti, amo ancora parlare di calcio: ce l’ho nel sangue», chiosa.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@Sport
Calcio, basket, pallavolo, rugby, pallanuoto e tanto altro... Storie di sport, di sfide, di tifo. Biancoblù e non solo.