Brescia Calcio, stavolta lo scossone è per Cellino: si dimettono i consiglieri bresciani
Uno scossone al contrario. Della pratica è maestro Massimo Cellino che stavolta però si trova nei panni di chi il colpo lo ha dovuto incassare. Mentre lunedì in giornata prendeva forma l’ennesimo ribaltone tecnico non solo della stagione, ma di tutta la gestione bresciana del patròn sardo, in serata - ma la notizia ha iniziato a circolare ieri mattina - è accaduto un altro fatto: i consiglieri in «quota bresciana» Giampiero Rampinelli Rota e Aldo Ghirardi hanno rassegnato le loro dimissioni. Hanno dunque lasciato il loro incarico nel Cda del Brescia.
Motivi personali
Nessun commento e quel che trapela è che sia Rampinelli Rota che Ghirardi hanno effettuato un passo indietro per motivi personali. Ma è una doppia dimissione che non può essere liquidata come un dato di cronaca. È un ribaltone, anche questo. Perché la mossa compiuta dai due professionisti bresciani, se è poco più che «simbolica» per quanto riguarda i risvolti operativi, è molto impattante nella sostanza. Perché c’entra il contesto nel quale è maturata, perché il profilo dei due ormai ex consiglieri è particolare, per la tempistica, e perché è obiettivamente difficile ipotizzare che Rampinelli Rota e Ghirardi si ritrovino contemporaneamente afflitti da impedimenti personali che li portino a non poter più ricoprire un incarico che è nella sostanza quasi «onorifico».
Nel senso che al di là degli obblighi da espletare per legge, il cda del Brescia non è un organo decisionale in senso stretto. Le decisioni, sono sempre di Cellino che è plenipotenziario.
Confusione e dissenso
Quindi? Il punto di partenza è il contesto. Quello di un’annata che rischia di finire malissimo a causa di una gestione mai così confusa e fuori da ogni canone: Cellino sta superando anche se stesso. Poi il profilo dei due consiglieri: entrambi hanno accompagnato Cellino, al quale sono legati, in particolare Rampinelli Rota, da un forte rapporto personale di lunga data, sin dalle prime battute della sua esperienza qui. E poi, non è un particolare, sono bresciani oltre che tifosissimi del Brescia: sono stati, essendo oltre tutto stimati professionisti, il biglietto da visita dell’imprenditore sardo.
Andando al punto, le loro dimissioni - rassegnate non senza patimento - non possono che essere interpretate come un segnale di dissenso dopo una serie infinita di scelte discutibili che hanno mandato in sofferenza anche l’immagine stessa del Brescia. E l’ultima scelta, quella dell’esonero di Possanzini per poi far tornare da «promosso» Gastaldello, è stata un po’ come la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: non può essere un caso che le dimissioni siano arrivate poche ore dopo il ribaltone in panchina.
Una delle tante scelte controcorrente alla quale i due erano contrari così come già altre volte, nell’ultimo periodo molto di frequente, lo sono stati anche rispetto ad altre decisioni del presidente. Che anche se poi ha sempre fatto di testa propria, non ha mai mancato di chiedere pareri e quando non lo ha fatto, ha sempre comunque messo tutti al corrente per tempo delle strade che su questo o quel tema aveva intenzione di intraprendere. Tra il non essere ascoltati o il non essere coinvolti - come è stato proprio nella circostanza Possanzini/Gastaldello, operazione condivisa solo con Perinetti - a forza di non ritrovarsi e riconoscersi più in una linea societaria divenuta illeggibile anche per loro, hanno scelto la via del messaggio forte.
Forte perché i due sono rimasti al fianco di Cellino nei tempi più bui, quello dei guai giudiziari: furono peraltro loro, facendo capire che sarebbero stati pronti ad andarsene, a far rientrare la prima crisi tra l’imprenditore, che si dimise da presidente, e il tribunale. Lo fecero per Cellino. E oggi che se ne vanno davvero, in fondo lo fanno ancora per Cellino nella speranza che, toccato sul personale. possa comprendere che per tentare di salvare il salvabile è necessario restituire un minimo di linearità.
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