Burnell e la pazienza insegnata da papà: «So che alla Germani posso dare di più»
Della vittoria su Tortona, del prossimo impegno con Cremona, ma pure di quella volta in cui, giovanissimo, fu a un passo dall’abbandonare la pallacanestro. Jason Burnell, ieri sera, su Teletutto, è stato ospite di una puntata di Basket Time particolarmente ricca. In primo piano, naturalmente, il roboante successo della Germani maturato domenica a Casale Monferrato. L’ala della Florida, 26 anni compiuti lo scorso 15 agosto, spiega così il blitz: «Quando difendiamo - afferma - siamo un’altra squadra. Nella metà campo offensiva non abbiamo eccessivi problemi. La rosa ha diversi protagonisti che possono prendere in mano la situazione».
Intanto la Pallacanestro Brescia - capolista con cinque vittorie in sei partite, insieme a Virtus Bologna, Reyer Venezia e Trento - primeggia in alcune classifiche di squadra. Ad esempio, è la formazione di serie A che ha subito meno punti a partita, 73.3, e pure quella che - mediamente - perde meno palloni a gara, ossia 10.2. Ma Della Valle e compagni primeggiano pure per rimbalzi offensivi per game.
Circa i «turnover», Burnell ha una teoria. «Tutto dipende da come ci alleniamo - commenta -. Tutta la settimana giochiamo contro grandi difensori. I nostri. A partire da Petrucelli e Cobbins. Così, siamo abituati a un livello di pressione molto alto».
Dopodomani, domenica, alle 20, al PalaLeonessa, arriva Cremona. La Germani ha una chance per mantenere la vetta, e per poi andare, lunedì 20, a Bologna a sfidare la Virtus da capolista. «Contro la Vanoli dovremo pensare a difendere - commenta il ventiseienne -. Dobbiamo giocare la nostra pallacanestro. Imporre fisicità. Se saremo in grado di farlo, andrà tutto bene».
Saggezza
Intanto, circa la prima parte di stagione a Brescia, l’ala ha le idee chiare. «So che posso dare di più a questa squadra - asserisce -. Ne parlo sempre con mio padre al telefono. Mi esorta sempre a essere paziente. Questa città e questa squadra, ne sono certo, sono il mio posto ideale».
Nel corso di Basket Time s’è parlato a lungo del signor Frank Burnell, padre di Jason. A livello universitario, fu un grande giocatore degli Stetson Hatters (è entrato nella Hall of Fame della scuola). Nel 1983 fu scelto al numero 63 del draft Nba dai Seattle Supersonics. Dopo la carriera da giocatore è stato head coach al Daytona State College per sette stagioni, per poi lavorare per altri sette anni all’Edward Waters College. Frank è il primo motivatore di Jason. Lo fu anche nella difficilissima stagione 2015-2016. «Era il mio primo anno al college. Giocavo nei Georgia S. Eagles - racconta -. Il mio coach Mark Byington, senza tanti giri di parole, mi disse che non potevo giocare a quel livello. Andai in crisi. Cercai e trovai lavoro all’aeroporto. Mio papà mi aiutò molto. E mi ricordò che "the cream rises to the top" (modo di dire in lingua inglese che significa che chi ha valore, in un modo o nell’altro, alla fine emerge, ndr). Fui a un passo dal lasciare questo sport. Ma tornai in palestra alle 5 del mattino, prima di andare a lavorare».
Passato al St. Petersburg College, Burnell finì poi il proprio percorso di formazione con i Jsu Gamecocks (Jacksonville). «L’ultimo anno, ricordo, l’allenamento e il miglioramento di me stesso erano la mia religione - racconta ancora -. Vivevo una vita da professionista, senza esserlo ancora. Ma proprio in quella stagione realizzai che lo sarei diventato».
L’ultimo anno alla Dinamo Sassari, eccezion fatta per le grandi prove nella serie play off proprio contro la Germani, è stata complicata. La successiva a Brindisi è stata forse ancora più intricata. «Ma, in questi ultimi anni, ho imparato a muovermi in modo diverso - conclude -. In Puglia, ad esempio, volevano che fossi un giocatore catch&shoot. Sono esperienze che mi hanno formato. Adesso, per Brescia, voglio combinare tutte le competenze che ho».
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