Nato quasi cieco, Carlo Giardino dirige l'orchestra e gioca tennis

È nato immerso nel buio Carlo Giardino, eppure a 36 anni ha già illuminato di prodigi la propria esistenza. Cieco da un occhio e con appena due decimi di vista nell’altro, già da ragazzino correva 100, 200 e 1.500 metri nella sua Ariano Irpino, ed è finito nel giro della Nazionale giovanile, a 9 anni scoprì di avere una bella voce e a 20 si è laureato in canto al Conservatorio di Avellino.
Quando è venuto a Brescia, dalla pista è passato alla strada. Dieci anni fa un glaucoma gli ha portato via ancora un po’ di vista, eppure si è laureato in direzione di coro. E adesso, dopo un delicato intervento che gli ha ridotto la pressione oculare migliorandogli la qualità della vita, sta preparando la tesi di laurea per diventare direttore d’orchestra e ha cominciato a giocare a tennis.
Alle difficoltà della sua condizione ha risposto ponendosi obiettivi sempre più alti. Presto tornerà sui libri per conseguire un’altra laurea e non c’è giorno in cui non pratichi attività fisica, trascinato da una straordinaria forza di volontà e dall’amore della moglie. «Tra gli alti e bassi del mio campo visivo – racconta – ho fatto in tempo a scorgere i suoi occhi e a perdere la testa per lei». Ora i due vivono nella nostra città e vogliono restarci a lungo.
Dirigere un'orchestra senza vedere
«La prima cosa che mi è piaciuta qui – spiega – è il senso di inclusione. Per tutti c’è un’opportunità. L’ho capito quando ho scoperto la possibilità di partecipare ogni giovedì alla CorriXBrescia, con l’aiuto di guide preparate». E poi la grande sfida a quello che sembrava impossibile. «Sì, anche un non vedente può dirigere un’orchestra. Per me è stato ancora più difficile, perché da bambino qualcosa ancora vedevo e così non ho mai imparato a leggere il braille. E allora gli spartiti li ho imparati a memoria, affronto la partitura a mio nodo e mi affido alla conoscenza dei testi che mi viene dall’esperienza di cantante lirico». Immerso nella modernità, Carlo Giardino molto chiede a sé stesso e anche agli altri. «Un direttore d’orchestra è come il manager di un’azienda, deve dare le indicazioni di massima sull’interpretazione, poi sta ai musicisti aggiungere le loro professionalità. L’opera ogni giorno può insegnarci qualcosa, purché non resti mummificata nel passato con versioni datate che non tengano conto dei mutamenti del tempo. In questo senso mi piacciono i registi innovativi, sempre che gli aggiornamenti proposti non siano una semplice trovata scenica, quanto piuttosto strumenti utili a catapultare lo spettacolo nella realtà dei giorni nostri».
Il tennis a sonagli
Quando dirige, Carlo è molto aiutato dall’eleganza dei gesti e dalla coordinazione nei movimenti acquisita grazie allo sport. Da poche settimane ha scoperto anche il tennis nella versione «blind tennis», con palline provviste di sonagli. «Ho trovato molte somiglianze con la musica - spiega -. In fondo la sensibilità delle mani di un pianista somiglia a quella di chi deve impugnare una racchetta». Le assonanze non finiscono qui. «Una buona battuta è come fare un acuto, se invece non becchi la pallina è come se avessi fatto una stecca. E se poi ci esce l’ace, bah quello è un si naturale». Ora deve solo trovare il modo di incastonare il tennis nella sua agenda ricca di impegni non solo professionali.
«Mi sveglio ogni giorno alle 5 - racconta - e mi dedico alla respirazione, alla meditazione e allo yoga. Mi ritaglio sempre un’ora quotidiana per correre sul tapis roulant, la mia settimana di sport comprende anche il nuoto. E quando vado al Conservatorio cerco sempre di muovermi da solo, ogni tanto sbatto uno stinco su una panchina o su un marciapiede, però non mi fermo mai». C’è un’aria nella quale Carlo Giardino si riconosce in pieno ed è il «Vincerò» della Turandot, che interpreta con talento e passione.
«Per Calaf - racconta - sembrava una battaglia persa quella di conquistare la principessa, tutti gli altri pretendenti avevano fallito pagando con la vita la mancata risoluzione degli enigmi. Invece, poi, ce l’ha fatta». Così come Carlo Giardino, la cui alba vittoriosa non ha più conosciuto la notte.
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