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L’addio di Vanessa Ferrari: «C’è malinconia, ma so di aver cambiato la storia»

«Ho sopportato molto per inseguire i miei sogni. Il top? L’argento olimpico»
Vanessa Ferrari in redazione al Giornale di Brescia - Foto New Reporter Papetti © www.giornaledibrescia.it
Vanessa Ferrari in redazione al Giornale di Brescia - Foto New Reporter Papetti © www.giornaledibrescia.it
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Se la si chiama «leggenda», ora che ha deciso di lasciare la pedana a quasi 34 anni, ancora si schernisce. E allora possiamo dire che Vanessa Ferrari è la storia della ginnastica italiana: non solo perché è stata la più forte di sempre (un argento olimpico; prima a vincere un oro mondiale, cinque medaglie iridate complessive; undici europee e quattordici podi in Coppa del Mondo), ma perché lei, la storia, l’ha cambiata. E in visita al Giornale di Brescia si racconta, dentro e fuori dalla pedana.

Vanessa, la decisione di smettere è un processo dettato solo dal tempo?

«Sapevo che non poteva durare per sempre, dopo Tokyo ho avuto un periodo in cui ho pensato che fosse il momento giusto per lasciare. Ritrovare la motivazione è stato difficile, perché mi sono sentita appagata. Avevo già 31 anni, ma sapevo di poterci provare ancora una sola volta. È stato un triennio molto complicato. Quando ho deciso di riprovarci seriamente prima ho avuto il problema al tendine d’Achille, poi a dicembre 2023 un’influenza che mi ha lasciato sintomi per mesi e tante lesioni muscolari dettate da quelle condizioni. Volevo provarci fino alla fine. Quando tutto sembrava andare nel migliore dei modi, a un mese dalla partenza c’è stato l’ennesimo infortunio e ho capito che non ce la potevo più fare a recuperare. Ma con o senza Parigi avevo capito che si sarebbe conclusa la mia carriera da atleta. La scelta era già stata presa, quando c’è stato l’annuncio è stato comunque impattante».

Ha percepito tutto l’affetto della gente?

«Sì e in me ha procurato un po’ di malinconia perché è finito il percorso di una vita».

Partiamo proprio dalla fine: nell’ultimo triennio le è mai parso di andare contro i mulini a vento?

«Un po’ sì, soprattutto all’inizio. Ma alla fine ero felice di aver fatto il percorso. Mi sono resa conto che se non mi fossi fatta male avrei potuto giocarmi ancora le mie carte».

La carriera è stata costellata da tanti infortuni, qual è stato il peggiore?

«L’ultimo: è stato tra i più sciocchi, ma emotivamente mi ha fatto parecchio male perché mi ha privato delle Olimpiadi di fine carriera. Il più duro e con più dubbi la rottura del tendine d’Achille durante la finale mondiale a Montreal 2017: avevo già 27 anni... Poi sono riuscita a ristabilirmi, ci sono stati altri interventi per gestire la situazione, ma sono riuscita a creare le condizioni per prendermi quella splendida medaglia in Giappone».

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Vanessa Ferrari intervistata da Clara Piantoni nel tg di Teletutto

L’argento di Tokyo è stata la medaglia più bella, anche per quelli che erano stati i precedenti alle Olimpiadi?

«È quella che pesa di più insieme alla vittoria del Mondiale nel 2006 ad Aarhus. Ma allora ero giovane, nessuno mi conosceva. Poi invece la gente si aspettava molto da me, sfiorare due volte il podio olimpico, aver vinto tutto eppure continuare la rincorsa ai Giochi, non è stato facile. Per quello l’argento di Tokyo è stata una grande soddisfazione. Anche perché ero più grande e mi rendevo molto più conto dei sacrifici e della cura dei dettagli».

Ai campioni si chiede di vincere sempre, come si gestisce la pressione?

«A volte schiaccia, ma dipende dal carattere. Io sono perfezionista, di mio volevo vincere, non lo facevo per gli altri. Però più vai avanti, più senti la pressione».

Già da bambina pensava di diventare una campionessa?

«Ora posso dire di sì: ci sono degli aneddoti: che ricordo come se fosse ieri, che me lo fanno capire. Ma dirlo era difficile, l’Italia non era una grande potenza della ginnastica. Sapevo però che con l’allenamento potevo fare bene, centrare gli obiettivi, competere con le grandi potenze, nonostante non tutti fossero dalla mia parte. Poi certo non potevo immaginare di vincere un Mondiale o un argento olimpico».

Ferrari con l'allenatore Casella © www.giornaledibrescia.it
Ferrari con l'allenatore Casella © www.giornaledibrescia.it

È cosciente di aver cambiato questo sport in Italia?

«Sì, ma fino a pochi mesi fa da atleta non l’avrei detto. Le cose le vedi meglio se stai al di fuori, anche solo per scaramanzia. Mi rendo conto che i miei risultati, e l’essere passata sopra situazioni non corrette nella gestione degli atleti, abbiano portato ad avere tutti questi risultati. Un conto sono io che riesco a superare tutto. Un conto è creare un gruppo forte. Quando ero giovane non avevo nutrizionista, psicologo, il fisioterapista che previene gli infortuni. Avevo l’allenatore e basta. Se non avessi vinto, magari, non ci sarebbe stata la palestra dove ci alleniamo. E magari non tutte avrebbero sopportato le cose che ho sopportato io per raggiungere i miei sogni».

Del resto con quell’oro ad Aarhus riuscì a portare il PalAlgeco a Brescia: che effetto le fa sapere che ora arriverà un palazzetto vero?

«Mi fa piacere che con tutti i risultati, anche quelli arrivati dalle altre ragazze, ci sarà un centro dedicato alla ginnastica a Brescia. Spiace non poterne approfittare, ma spero di farlo in un altro modo».

Quanto è cambiata la gestione psicologica delle ginnaste?

«Non ho avuto una figura così da piccola e non ne ho usufruito molto negli ultimi anni, solo quando ne sentivo il bisogno. Nelle situazioni ci deve essere un equilibrio, non vanno forzate».

Questo può cambiare la vita delle atlete?

«Penso di sì. È importante dire prima cosa ci si sente di fare. Ed è importante che lo capisca chi hai di fronte: se una persona ti obbliga, a prescindere la cosa non verrà mai bene».

C’è qualcosa che avrebbe fatto diversamente?

«Con più prevenzione fisica avrei vinto di certo più medaglie. Ma all’epoca non potevo fare nulla, ero poco più di una bambina quando vinsi il Mondiale».

L'esibizione con cui Vanessa Ferrari ha vinto l'argento a Tokyo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
L'esibizione con cui Vanessa Ferrari ha vinto l'argento a Tokyo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Quale è la rinuncia che le è pesata maggiormente?

«Avrei potuto fare un percorso scolastico migliore. L’unica recriminazione è sugli infortuni, il dovermi allenare sempre con il dolore, nemmeno le rinunce con l’alimentazione pesavano così tanto. Poi io sono fatta così: anche in vacanza non ho mai staccato, per 27 anni la testa era sempre alla ginnastica. Alla lunga è stata dura: un altro quadriennio potevo farlo, ma è giusto fermarsi ora».

Qual è stata la figura più determinante nella sua carriera?

«Sicuramente Enrico Casella. Mi ha preso alla Brixia a 8 anni e mi ha portato a vincere il Mondiale 8 anni dopo, non è una cosa consueta. E mi ha portato a tutti i successi e a quattro Olimpiadi. È stato il mio riferimento, anche se è stato difficile passare tutti i giorni insieme, abbiamo caratteri forti. Ci sono stati anche scontri, ma la cosa bella del nostro rapporto è che entrambi viaggiavamo sempre nella stessa direzione. Abbiamo raggiunto entrambi gli obiettivi, perché anche io sono stata la sua prima volta in tanti successi».

E ora avrete altri obiettivi comuni da perseguire?

«Sarebbe bello: farebbe bene a me, a lui, ma anche alla ginnastica in generale. Tutto quello che faccio gira intorno alla ginnastica».

Intanto però rispetto ad altri atleti si è già creata un percorso extra: una linea d’abbigliamento ed i camp per bambini che funzionano. Proseguiranno?

«Mi piace sviluppare il brand, anche perché essendo stata atleta, so anche cosa serve alle ginnaste. I camp sono faticosi, ma mi lasciano moltissimo: in quella settimana voglio trasmettere loro l’entusiasmo e la passione per fare il massimo a qualsiasi livello».

Da Tokyo in poi è stata definita una leggenda, che effetto fa?

«Faccio fatica a dirlo, ma sentirmelo dire fa piacere».

Come definisce la sua carriera?

«Un inseguirsi di alti e bassi, dati da infortuni, delusioni, ripartenze da zero e ritorni più forti».

Cosa le mancherà maggiormente?

«Più che l’adrenalina, il fatto di andare in pedana e mostrare al mondo quello che so fare. Ora spero di trovare serenità ed equilibrio anche fuori».

E ora si godrà meglio i piccoli momenti?

«Sicuramente sì. Faccio le stesse cose, ma le sensazioni sono differenti. Sento di viverle più liberamente».

Si è fatta un regalo per l’addio?

«Una macchina? L’ho cambiata ma perché l’altra era rotta... In teoria a dicembre farò un viaggio col mio fidanzato Simone, mia mamma e uno dei miei fratelli in Thailandia. Se mio fratello si sbriga col passaporto...».

Ultima cosa: lasciare le competizioni cambierà anche la vita personale?

«Per qualcuno sì, in questo momento per me no. Non ho mai voluto avere figli. Non so in futuro cosa vorrò. Di sicuro voglio prendermi del tempo per me. Trovare stabilità e la mia strada oltre la pedana».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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