Jacobs, anno da re: quando a Tokyo si prese l’Olimpo e la gloria eterna
È passato un anno dal giorno dei giorni dell’atletica azzurra, forse in assoluto il pomeriggio più glorioso dello sport Tricolore. Domenica 1 agosto 2021 nel giro di un quarto d’ora l’Italia ha scoperto di essere il Paese dell’uomo più veloce e di quello capace di saltare più in alto. Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi hanno stregato cuori e menti di chi li ha visti dal vivo dentro lo Stadio Nazionale di Tokyo, di chi li ha ammirati da casa davanti alla tv o di chi si è gustato le loro gesta in spiaggia sullo schermo dello smartphone. Alzi la mano chi non ricorda dove si trovava in quel momento.
Unicum
Vincere il titolo olimpico dei 100 metri significa entrare nella storia e rimanerci per sempre. Nessuno potrà dimenticare quanto fatto da Jacobs a Tokyo, sia chi segue il desenzanese da quando era Cadetto, sia chi lo ha visto correre per la prima volta nella finale olimpica. La differenza è che chi lo ha osservato esclusivamente lungo i 9 secondi e 80 centesimi, che gli hanno spalancato le porte del Paradiso, è forse rimasto sorpreso che un ventiseienne bresciano potesse battere gli americani. Chi invece ha seguito l’intero percorso del gardesano dentro di sé sapeva benissimo che l’impresa sarebbe stata possibile.
L’uomo dei sogni non ha improvvisato alcunché in Giappone, semplicemente ha fatto quello che era nelle sue corde: correre più veloce di tutti essendo libero di mente, fresco di fisico e felice nello spirito. Che fosse entrato in una nuova dimensione lo si era capito agli Europei indoor di Torun in marzo, quando vinse il titolo dei 60. Che non soffrisse più lo scontro diretto con i rivali lo si era percepito a Savona in maggio, quando migliorò il record italiano dei 100 (9’’95). Che fosse cresciuto a livello mentale diventò lampante agli Assoluti di Rovereto, dove dopo 38 giorni di assenza causa infortunio conquistò la maglia tricolore in scioltezza.
Prove generali
Mancava l’esame internazionale, prontamente superato tra Stoccolma e Montecarlo in quelle che sono state le prove generali in vista dei Giochi olimpici. Così a Tokyo arrivò un velocista conscio di poter battere tutti. Il primo turno fu la cartina di tornasole: Marcell Jacobs vinse la propria batteria in 9”94, nuovo record italiano e secondo crono del turno. Si capì in quel momento che gli americani non erano insuperabili. Jacobs andò a dormire cullando un sogno, che si avverò poche ore dopo. Il vero capolavoro fu la semifinale: il bresciano fu terzo in una serie durissima, eguagliando il record europeo a 9”84, ma lasciando sfogare i rivali, poi presentatisi scarichi all’atto conclusivo. In finale l’oro olimpico il desenzanese lo vinse prima di scattare, quando rimase immobile sul blocco in occasione della falsa partenza del britannico al suo fianco. Al secondo sparo lucidità e concentrazione lo portarono a sfrecciare dalla corsia esterna, non pensando ai rivali, bensì solo a sé stesso: trionfo a cinque cerchi, record europeo in 9”80 e gloria eterna furono conseguenze naturali di un atteggiamento da fuoriclasse.
Oltre le critiche
La grandezza del personaggio fu chiara all’indomani del trionfo, quando non si fece scalfire dalle polemiche scatenate contro di lui dai media anglosassoni, riparatisi in accuse di doping per cercare di giustificare la débâcle. Anzi, Jacobs diventò il punto di riferimento della squadra azzurra, ispirando dentro il villaggio i suoi compagni, capaci di conquistare ori a raffica nella seconda settimana olimpica. Il bresciano fece doppietta nella staffetta 4x100, correndo la seconda frazione e trascinando al trionfo i tre colleghi di testimone (Lorenzo Patta in prima frazione, Fausto Desalu in terza e Filippo Tortu in ultima). Poi, per chiudere degnamente la sua avventura in terra nipponica, il Coni lo nominò portabandiera azzurro nella cerimonia di chiusura. In quella faccia sorridente che sventolò la bandiera è racchiusa l’essenza di un uomo capace di esaudire il suo sogno da bambino con una tranquillità disarmante.
Se il primo agosto l’Italia sportiva potrà fare festa per sempre lo si deve a un atleta semplice, spontaneo e naturale. Se c’è riuscito Jacobs, posso farcela anche io. È questa frase l’eredità tangibile della volata del re cresciuto sul lago di Garda.
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