Giacomo Agostini al cinema Oz per presentare il suo documentario

È il motociclista più titolato di sempre al mondo, un’icona dello sport entrata nell’immaginario collettivo di un’intera nazione. Giacomo Agostini, che all’apice della carriera (in cui ha trionfato in 15 mondiali nelle classi 350 e 500, con 123 vittorie su 190 gare disputate, oltre a 18 titoli nazionali) è al centro di «Ago - Prima di tutti», documentario biografico diretto da Giangiacomo De Stefano, in sala dal 10 al 12 marzo. Dopo l’anteprima a Riccione, oggi il leggendario pilota nato a Brescia nel ’42 presenta il biopic alla multisala Oz, alle 20, introdotto dal giornalista Francesco Doria (organizza il gruppo Quilleri in collaborazione col Motoclub Leonessa d’Italia 1903).
Giacomo, è soddisfatto di «Ago», che ripercorre la sua carriera con immagini di repertorio in buona parte inedite e testimonianze di chi l’ha conosciuta o è cresciuto ammirando le sue imprese?
«Avendolo visto con il pubblico, ho verificato che le emozioni arrivano non soltanto a me. “Ago” ripercorre la mia vita e la mia carriera con puntualità. I miei tifosi hanno vissuto certe emozioni in diretta, ma poi hanno magari raccontato le corse ai loro figli, che con questo film possono mettersi in pari».
Tra il ’69 e il ’70 ha interpretato dei film tra cui «Bolidi sull’asfalto». Verità o leggenda che disse no al grande Pietro Germi per un ruolo da protagonista?
«In realtà avevo accettato, ma quando nel contratto trovai che la lavorazione sarebbe cominciata a marzo, proprio alla ripresa del Motomondiale, rinunciai. Germi non voleva crederci («Ma come, preferisci le motorette?!»), ma amavo troppo correre».
Ha cominciato superando la resistenza di suo padre…
«Papà non voleva proprio. Ma si confidava con un amico notaio, che per mia fortuna era parecchio sordo: quando gli disse che volevo correre in motocicletta, lui capì «bicicletta”, e con in mente Bartali e Coppi perorò la mia causa, sostenendo che lo sport fa bene... Papà cedette».
Suo padre, di professione segretario comunale, era bresciano…
«Camuno. E io, nato a Brescia, ho vissuto a Malegno, in Valle Camonica, fino ai 13 anni. Poi, per il lavoro di papà, ci trasferimmo a Lovere».
Com’è cambiato il mondo delle corse rispetto ai suoi tempi?
«Soprattutto in due cose. In positivo, oggi c’è molta più attenzione alla sicurezza, a partire dalle tute, che sono rinforzate e protettive: all’epoca una tuta pesava un chilo o due, oggi arriva a nove, è come una corazza. In negativo c’è l’invadenza dell’elettronica, che regola quasi tutto e toglie spazio all’istinto e al talento del pilota».
Parlando della MotoGp, cosa pensa del fatto che Pecco Bagnaia deve convivere, in Ducati, con un campione ritrovato come Marc Márquez, che all’esordio lo ha battuto?
«Nella stessa squadra o in un’altra non fa differenza, quelli forti te li ritrovi comunque a lottare per il titolo. Il Mondiale se lo giocheranno loro due, che avranno uguale trattamento da parte di Ducati. Vincerà il migliore».

E la rivalità tra fratelli, visto che anche Alex Márquez, con il Team Gresini, sembra poter essere protagonista?
«Sempre avversari sono, ma è difficile non tener conto della parentela. Non credo, se capiterà in gara, che le staccate saranno tiratissime: se no poi chi li sente i genitori».
Il suo avversario per antonomasia è stato Mike Hailwood.
«Forte, tosto ma leale: da lui ho anche imparato tanto. Uno che se perdeva non cercava scuse».
Sale ancora in moto?
«Ogni giorno. Se non sto troppo bene, mi basta saltare in moto, fare un giro, e mi sento subito meglio».
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