A tremila metri in Kenya con Brigid Kosgei, la regina della maratona
Sopra il training camp di Kapsait, nel Kenya occidentale, planano le aquile. Il loro volo per pochi secondi incrocia quello del drone che dal cielo immortala l'allenamento dei maratoneti più forti al mondo. In testa al gruppo, a dettare il ritmo al fianco degli uomini, c'è Brigid Kosgei. Treccine attaccate alla testa e coda alta, i capelli ondeggiano alla velocità delle sue falcate. Ha 28 anni, è mamma di due gemelli e detiene il record mondiale di specialità (2h14'04", Chicago 2019). Argento olimpico a Tokyo, è una delle atlete più vincenti e pagate al mondo. A Eldoret, la città conosciuta come «the home of champions», possiede una lussuosa villa su quattro piani. Ma lei non ci vive, per scelta. Preferisce rimanere qui, a tre ore di auto, dove è allenata dal leggendario Erick Kimayio, che è nel team Rosa Associati da 25 anni e sta sviluppando un lavoro molto promettente soprattutto con le donne.
Ore 9, la squadra si arrampica su per la salita. Manca poco alla fine dei 15 chilometri previsti per la prima sessione del giorno. La strada è un nastro nero che sfiora le nuvole: siamo a 2.900 metri sul livello del mare. «Sono venuti i cinesi e hanno asfaltato tutto, qui prima era solo terra rossa» commenta il dottor Gabriele Rosa, un po' amareggiato. Medico sportivo bresciano, allenatore dei più grandi campioni della corsa, in carriera ha seguito oltre mille atleti totalizzando un palmarès impressionante. Non veniva dal 2020: «Dopo lo stop forzato a causa della pandemia, tornare a 80 anni è pura emozione».
Quando passa il team con il suo cognome sul petto, lo sguardo è un laser: cerca prima la coda ondeggiante e poi il tempo sul cronometro. «Brigid è straordinaria. Potrebbe competere con i maschi senza fatica». La scorsa estate ha trascorso un mese a Brescia, per la riabilitazione dopo un infortunio e fare i test. «Your city is very nice (la vostra città è molto carina) - ci dice quando scopre da dove veniamo -. Sono rimasta quattro settimane, di giorno al Marathon per i trattamenti ai tendini del ginocchio destro e la sera sul lago d'Iseo con la società».
La incontriamo appena finito lo stretching di defaticamento, eseguito con disciplina, in fila con le compagne. Al suo fianco ci sono Vivian Kiplagat e Judith Jeptum Korir. L'unico accenno di fatica che ha sul volto sono le labbra serrate. La aspetta il pranzo, preparato dal cuoco, a base di lenticchie, fagioli e interiora di pecora.
Brigid, perché resti in un camp estremo come Kapsait?
«È il posto migliore per allenarsi in Kenya. E il Kenya lo è nel mondo. Mi sento a casa e le mie gambe e la mia testa lo sentono».
Qui vivono le punte di diamante della maratona, uomini e donne. Come è allenarsi insieme?
«Certamente è uno stimolo in più. Poi il coach sa cosa è meglio per ognuno di noi».
Tutte le bambine keniane sanno chi sei. Qui al villaggio quando ti vedono correre urlano il tuo nome, nelle scuole appendono in classe gli articoli che parlano di te. Che effetto fa?
«Sono fiera di ispirare le giovani donne africane. Voglio che tutte sappiano che il duro lavoro unito al talento può dare una svolta alle loro vite. La corsa può essere una risorsa per le ragazze keniane».
Riscatto sociale?
«Anche. Ma correre e vincere significa anche indipendenza economica, offrire ai figli le scuole migliori, comprare un pezzo di terra per i genitori. Ogni donna che ha un talento deve poterne fare un lavoro».
È una grossa responsabilità essere ambasciatrice di un messaggio così.
«Sì. Lavoro duro anche per questo».
L'anno scorso hai dovuto rinunciare a Londra. Ora torni a gareggiare?
«Sì, punto a un 2023 di riscatto. Ricomincio da una grossa maratona in primavera, ma per ora non posso dire di più».
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(Il video proposto in questa pagina è di Alberto Malinverni)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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