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Addio Gino. Il pres lascia il Brescia dopo 25 anni

Corioni ha dedicato una vita al calcio, diventando a suo modo un'icona
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«Alùra, èl Brèsa?». Allora, il Brescia - non c’è bisogno di aggiungere Calcio - da ieri non ha più il pres. Avrà un presidente, ma non il pres. Gino Corioni, dopo il vertice in Ubi Banca, chiude quasi venticinque anni di storia che non si risolvono o racchiudono nelle firme che hanno segnato il passaggio di consegne verso il nuovo Brescia. Ventiquattro anni, per l'esattezza, più di Moratti all’Inter, per dire, cui si aggiungono quelli all’Ospitaletto e al Bologna.

Luigi Corioni, 77 anni compiuti il 9 giugno, resterà quello della Saniplast, l’imprenditore degli accessori per bagno. Del nuovo stadio, di retrocessioni, di promozioni, di allenatori, di giovani promettenti, di bidoni che svaniscono nel nulla, di ritiri, di contestazioni, di nuove maglie: di tutto questo non sarà più lui il fulcro, con quella smorfia della bocca che gli taglia il volto, inconfondibile per tutti i bresciani.

«Non sono il tipo da lasciarsi andare ai ricordi o alla malinconia per i bei tempi andati e per gli anni che "vanno su". La vita è vita: a 20, 40, 50, 80 anni. E va vissuta senza perdere tempo», dichiarava il giorno del suo compleanno alla collega Erica Bariselli. Si definiva un uomo fortunato, uno che ha vissuto intensamente e sperava che si concretizzasse il progetto, o almeno un progetto, per salvare il Brescia. È un uomo che ha dedicato una vita al calcio, diventando a suo modo un’icona.

«Certamente mi ha regalato una vita vibrante. Non saprei dire se più bella o più brutta. Senza calcio sarebbe di sicuro stata molto più monotona. Avrei avuto molti meno problemi, ma anche meno emozioni... Magari - prosegue - il calcio ha tolto un po’ di spazio alla famiglia».

Ha attraversato il mondo del calcio partendo dai campi di Promozione. Era l’Ospitaletto, portato poi in C2 e C1, ed era la fine degli anni ’70. Poi, con Gigi Maifredi, arriva a Bologna (dopo aver sfiorato la presidenza del Milan) dove tra il 1985 e il 1992 compie un triplice miracolo:  promozione, salvezza, qualificazione in Uefa.

Ma intanto, nel 1990, inizia già l’avventura nella sua Brescia («afflitta da perenne malinconia da B», scriveva il collega Egidio Bonomi) per portarla nel calcio che conta. Acquista la società da Luciano Ravelli, che a sua volta l’aveva presa da Franco Baribbi nella stagione ’88/’89, culminata con lo spareggio di Cesena con l’Empoli, vinto ai rigori cancellando la C1 dall’orizzonte.

Gino, mentre la squadra si arricchisce della coppia Giunta-Ganz, si presenta come «amico del Brescia», non potendo definirsi presidente per il contemporaneo impegno a Bologna. «Questa storia dell'"amico del Brescia" non convince - gli disse all’epoca il collega Roberto Bernardo, raccontando poi l’episodio in un articolo - la stampa nazionale la farà a fette. Come la dobbiamo chiamare? Troviamo un termine...". Sintetica e immediata la risposta, più appropriata di uno dei numerosi titoli con i quali ci saremmo dilettati negli anni a venire. "Ciàmem Gìno". Più che un nome un programma».

Per comprare la squadra spende «uno sproposito». «Diedi 10 miliardi di lire sull’unghia a Ravelli e mi accollai debiti per 17-18 miliardi, che diventarono 25 in poche settimane. Impiegai almeno dieci anni ad estinguere debiti non miei. Quando presi in mano i conti di quel Brescia calcio mi spaventai. Era una gestione folle, che avrebbe portato sicuramente il club ad un triste destino».

Con Claudio Cremonesi alla presidenza ufficiale, il Brescia centra la promozione vincendo il campionato di serie B con Lucescu in panchina, affiancato da Moro. È la stagione ’91/’92, Gino diventa il pres in quella successiva con la prima retrocessione tra i cadetti, vendicata nel ’93/’94 con una nuova promozione affiancata dalla coppa Anglo-Italiana, vinta a Wembley per 1-0 contro il Notts County. La V bianca è sulle maglie di Landucci, Marangon, Giunta, Domini, Baronchelli, Bonometti, Schenardi, Sabau, Ambrosetti, Hagi e Gallo, ma anche di Neri e Piovanelli, per citare i giocatori che scesero in campo per portare a Brescia l’unico trofeo internazionale della sua bacheca.

Seguono anni altalenanti (record negativo di punti in A nel ’94/’95, la C1 sfiorata l’anno dopo), inframezzati dalla promozione del 1997, fino al nuovo Millennio: l’anno 2000 che ci riporta in A e ci regala Roberto Baggio, Carlo Mazzone e l’avvio di un ciclo nella massima serie che durerà fino al 2005, il più lungo della storia del club. Al Rigamonti gioca gente come Guardiola, Toni, Appiah, Matuzalem, si vede la finale Intertoto persa con il Paris Saint Germain, e si respira l’aria del calcio vero, con le sue gioie e le sue sofferenze (molte).

Dopo Baggio, tutto cambia. Nel 2005/2006, complice anche Calciopoli, si riparte dalla B e non si rialza la testa fino al 2010, con la finale vinta contro il Torino. Dura poco, nonostante in squadra ci siano Zebina, Kone, Eder, Sereni e Diamanti: esonerato Iachini, si ritorna in B con Beretta. Sono anni duri per i mister: De Biasi, Maran, Zeman, Somma, Cosmi, Cavasin, Sonetti, e poi Iachini, Scienza, Beretta, Calori, Bergodi e Giampaolo. Dopo Mazzone, Corioni non trova più un punto fermo in panchina si trasforma in uno di quei presidenti-mangia allenatori. Nel frattempo Gino lotta contro un tumore, si riprende, vede (e fa) nascere e tramontare progetti per un nuovo stadio a Castenedolo, Borgosatollo e Buffalora, per citare alcuni passaggi a vuoto.

E il nuovo stadio alla fine non c’è, uno dei grandi rimpianti del pres, e la squadra arriva all’ultima stagione, sotto il segno di Iaconi, in un Rigamonti sempre più malinconico. La storia di Manenti, l’ennesima prospettiva di cambio societario e sicuramente la più paradossale, si ferma fortunatamente prima che il Brescia Calcio finisca in un salto nel buio. Ma i soldi sono finiti, i debiti con la banca e con gli altri creditori sono troppo alti, la guida del club non è più così saldamente nelle mani di Corioni. E si arriva fino al mancato pagamento degli stipendi e alla storia convulsa che abbiamo conosciuto nelle ultime settimane.

«Come s’immagina tra dieci anni?», gli chiedeva nel 2010 il collega Cristiano Tognoli. Si festeggiava il ventennale della presidenza. «Se nessuno capirà che il calcio adesso rende, m’immagino ancora al mio posto. A quel punto però voglio aver portato il Brescia in Europa League. Una città come la nostra deve stare stabilmente tra le prime dieci della serie A». Un giorno, forse. In questi giorni la priorità era iscriversi alla B. Senza più Corioni. Pardon, senza più pres.

 

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