Sport

A Mario non si chieda quel che non può dare

Non risulta dalle cronache che si sia mai proposto salvatore di alcunché
Mario Balotelli © www.giornaledibrescia.it
Mario Balotelli © www.giornaledibrescia.it
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Confondiamo lo sport con la religione e il campione con un semidio. «Giudicatemi come volete, io proseguirò con il mio lavoro quotidiano», dice Mario Balotelli espulso in Brescia-Cagliari dopo sette minuti.

Dal 20 aprile 2010, quando gettò per terra la maglia dell’Inter, la sera di Inter-Barcellona (3-1), Mario, ovunque va, suscita reazioni contrastanti, confonde, divide. Balotelli che per qualcuno non è addirittura italiano, o non completamente almeno. Lui, il nero che sta lavorando per schiarirsi, però trova molte difficoltà (questa è brutta, meglio non scherzare su un tema serio).

Balotelli svogliato che non si impegna abbastanza per meritarsi il posto in campo in una squadra che lotta per non retrocedere... Siamo sicuri che il problema sia lui e non noi? Confondiamo lo sport con la religione e il campione con un semidio. Al quale chiediamo di essere leader e trascinatore, di incarnare quello spirito soprannaturale che trasforma un gruppo disomogeneo in un unico corpo votato all’azione. Balotelli sacerdote del dio Pallone.

Diego Armando Maradona fuori dal campo ne combinava assai più di Mario. Ma in partita si trasformava: aveva un fisico sgraziato e un piede solo con cui calciava. Però sapeva eccitare l’animo della truppa e compiere gesti che cambiavano l’umore della squadra, creando una trance agonistica senza uguali: una volta, a sentire i suoi compagni, lo fece palleggiando con un’arancia a ritmo di musica negli spogliatoi. Maradona soprattutto vinceva.

Da quando esiste lo sport e da quando, per fortuna, quasi nessuno di noi va più in guerra, cerchiamo nei giochi e nei riti costruiti attorno a una palla, tonda, ovale, grande o piccola che sia, quei gesti che una volta competevano agli eroi. Ad esempio, Decio Mure che nel 340 a.C. muore in battaglia in cambio della vittoria, promessa dagli aruspici a condizione che uno dei due consoli si immolasse sul campo, è rimasto il prototipo di quelli che noi chiamiamo esempi di virtù: determinazione, sacrificio, capacità di andare oltre i propri limiti, dare la vita per una causa comune, che oggi si chiama goal.

Ma Mario Balotelli è un ragazzo del terzo millennio che ha altri traguardi rispetto a quelli che immaginiamo noi. Non risulta dalle cronache che si sia mai proposto salvatore di alcunché, non è né un tribuno né un console: gli da fastidio che lo chiamino «negro», quello sì, c’è qualcuno cui un insulto farebbe piacere? Guadagna moltissimo, non c’è dubbio: ma il problema è di chi da più dieci anni lo copre d’oro per quello che è. E si aspetta possa dare quello che non ha. Mario Balotelli «calcia forte il pallone», aveva detto appena arrivato Fabio Grosso. Non basta? A lui questa qualità lo ha reso milionario. Tutto il resto sono affari nostri, non suoi. Che dice «è incredibile come un episodio possa cambiare l’opinione di tutti drasticamente sull’essere e la professionalità di una persona». Già. Balotelli non è Decio, che ci possiamo fare?

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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