Uve autoctone e affinamento nelle acque del Sebino: la storia del vino Nautilus
Quella che era stata una scomessa ora è diventata parte integrante del processo produttivo. Nel 2010 Alex Belingheri, titolare dell'Azienda agricola Vallecamonica di Artogne, decise di provare a far affinare nelle acque del lago d'Iseo alcune bottiglie di Metodo Classico.
Il risultato fu estremamente soddisfacente, tant'è che l'esperimento è divenuto prassi e giugno è diventato tradizione far riemergere le bottiglie di Nautilus, questo il nome del prodotto, dai flutti del Sebino. «È una cantina naturale eccellente, a 30 e 40 metri di profondità - spiega Riccardo Lagorio, giornalista gastronomico che affianca Belingheri -, dove temperatura (attorno ai 5-6° ndr), umidità e pressione rimangono costanti, permettendo ai lieviti di agire in modo non aggressivo anche grazie all'assenza di luce».
Qui le bottiglie riposano per non meno di 4 anni e, come già detto, giugno è il mese della «raccolta»: sabato 11 è la data cerchiata in rosso sul calendario per la vendemmia subacquea del 2022, che a Peschiera Maraglio a Monte Isola riporterà alla luce circa 3.500 bottiglie.
Ma la particolarità dei vini Nautilus non sta solamente nel metodo di affinamento: le uve a bacca nera con le quali viene prodotto sono infatti autoctone della Val Camonica e crescono tra i 300 e gli 800 metri di altitudine a Cividate Camuno.
«Sono inoltre viti a piede franco - spiega Lagorio -. Con questo termine si indicano quei vitigni che non sono stati innestati con viti americane, intervento necessario dopo l'uccisione dei vitigni autoctoni compiuta dalla filossera tra la fine dell'800 e gli inizi del '900».
I vitigini camuni sono perciò un retaggio di quella che fu la viticoltura del passato, con esemplari di piante che, «secondo una nostra stima» precisa il giornalista, potrebbero avere addirittura un secolo e mezzo di vita.
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