Sub morì impigliato nelle reti: a processo due pescatori

Padre e figlio accusati dell’omicidio colposo di un 39enne bergamasco annegato il 3 gennaio 2015
SUB MORTO, PESCATORI A PROCESSO
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Per il pm e il loro difensore non c’è elemento in grado di dimostrare che quella rete per la pesca di frodo della tinca, nella quale rimase fatalmente impigliato Lorenzo Canini, fosse la loro. Per il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo Federica Gaudino, per la vedova e gli orfani del 39enne sub di Ponteranica morto due anni fa nelle acque prospicienti Tavernola Bergamasca, invece la vicenda merita un approfondimento processuale. Questa la ragione per la quale il gup ha respinto la richiesta di archiviazione e per la quale il 1° marzo dell’anno prossimo Venanzio e Lorenzo Soardi, padre e figlio (di 57 e 28 anni) pescatori di Peschiera Maraglio con Fabio Bozzato, 57enne di Bergamo amico sub della vittima, saranno a processo con l’accusa di omicidio colposo in cooperazione (ipotesi diversa dal concorso perché consta di due operazioni distinte).

Lorenzo Canini morì il 3 gennaio del 2015 durante un’immersione con Fabio Bozzato nelle acque di fronte alla caserma dei carabinieri di Tavernola. Bozzato e Canini si erano immersi poco dopo le 10. Il primo era dotato di un «rebreather», un dispositivo di respirazione che ricicla l’aria delle bombole, il secondo con le bombole tradizionali. Il 39enne di Ponteranica, aveva infilato inavvertitamente piedi e pinne nella rete piazzata a 30 metri di profondità, non segnalata e sprovvista di codici di identificazione. Bozzato aveva provato a disincagliare l’amico, ma senza successo. Era così riemerso per allertare i soccorsi, per poi inabissarsi nuovamente e nel tentativo di salvarlo gli aveva passato, inutilmente, la sua attrezzatura.

Canini era già privo di sensi. Il 59enne rischiò grosso, perse una pinna e ebbe bisogno del ricovero in ospedale, prima di finire nel registro degli indagati con l’accusa di aver donato alla vittima un rebreather difettoso. Per l’avvocato di quest’ultimo invece è stata la rete a provocare la tragedia.

Rete senza targa. Ma di chi era? I Soardi hanno sempre detto di non saperne nulla. Per il loro difensore, l’avvocato Laura Piazzalunga i carabinieri erano risaliti a loro partendo da una segnalazione che nulla ha a che fare con la morte di Canini e che risale a due anni prima. In seguito ad una lite avvenuta proprio in quella zona, padre e figlio di Peschiera Maraglio erano stati fotografati dal lungolago. Il legale, chiedendo il non luogo a procedere, ha sottolineato la totale assenza di segni identificativi e insistito sull’assenza di elementi per ricondurre quella rete ai Soardi. Uno sforzo inutile.

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