Omicidio non premeditato, ma Giulia Taesi non merita attenuanti
Giulia Taesi era seduta alle sue spalle, l’ha tenuto inchiodato al sedile, gli ha impedito di aprire la portiera e di mettersi in salvo. Non è stata lei ad affondare il coltello nel corpo di Riad Belkhala, il pusher tunisino che vantava un credito di mille euro nei suoi confronti, ucciso nelle campagne di Zocco di Erbusco nell'aprile di due anni fa.
Ne sono convinti i giudici della Corte d'assise di Brescia che lo scorso mese di ottobre hanno condannato la 23enne di Castegnato a 16 anni di reclusione. Cambia poco: Giulia - si legge nelle motivazioni della sentenza - ha condiviso quell’omicidio con il fidanzato Manuel Rossi (condannato in separato giudizio a 17 anni), ha cercato di cancellarne le tracce e non ha mai mostrato segni di pentimento.
Taesi - scrivono i giudici - ha tentato di depistare le indagini e di inquinare le prove, ma ha pure «scaricato sul fidanzato ogni responsabilità delle coltellate e preteso che lui la scagionasse».
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