Marì, da 31 anni sullo stesso autobus
Di guidare l’automobile proprio non ne voleva sapere. «Mi fanno paura le curve, ero sicura che mi sarei schiantata» andava ripetendo. E quando il suo mitico «Garelli» l’ha abbandonata, dopo anni e anni di onorato servizio, Marì si è rassegnata. «Era febbraio del 1983. Mi sono recata di buon’ora in piazza, a Colombaro: e così ho iniziato a prendere il pullman».
Quel giorno Marì, classe 1934, non sapeva che sull’autobus ci sarebbe salita eccome, per ben trentun anni, diventando amica, confidente, in alcuni casi perfino nonna acquisita di una quindicina di autisti.
La tratta, sempre la stessa, le serviva per raggiungere le molte famiglie di Iseo che ha aiutato come collaboratrice domestica. Sei chilometri e pochi minuti trascorsi sulle quattro ruote per decenni che le sono bastati per guadagnarsi la stima e l’affetto dei molti autisti che da Palazzolo si recano tutti i giorni a Iseo, fermandosi per i paesini della provincia bresciana.
«Mi volevano tutti bene - racconta Maria -. Salivo sull’autobus ogni mattina a Colombaro alle 9.30 e lo riprendevo nel tardo pomeriggio, verso le 17, a Iseo: negli anni ho visto crescere, sposarsi, perfino separarsi e andare in pensione moltissimi degli autisti che mi hanno accompagnato nel corso della mia vita. E in un certo senso, anche io ho accompagnato loro: mi hanno sempre visto come una confidente, un’amica, anzi, una di famiglia: un autista mi ha perfino invitato al battesimo dei suoi gemelli».
Stirare, lavare i panni, pulire il pavimento di case, uffici, bar e ristoranti sono stati il pane quotidiano di Marì, al secolo Maria Costa, per decenni, fino a quando lo scorso giugno qualcosa è andato storto. «Sapevamo che la schiena era il suo punto debole - spiega la figlia Nadia -. Del resto, aveva 79 anni, di cui una trentina passati piegata a pulire e strofinare. Ma lei, di smettere, proprio non ne voleva sapere: adorava uscire e adorava le famiglie per cui lavorava. Peccato che una mattina come tante, nell’alzarsi dal letto, la schiena non ha retto e mia madre non è riuscita a sollevarsi. Il verdetto è stato catastrofico per lei: due vertebre rotte».
Dallo scorso giugno Marì non ha più potuto uscire, né tanto meno lavorare. Soprattutto Maria non ha più potuto prendere il pullman. Il dolore per una donna, seppur quasi ottantenne, così dinamica, energica e solare come lei, è stato troppo: «Non ho chiamato né avvisato nessuno. Per me era una condanna non poter più lavorare né salire ogni giorno sull’autobus per rivedere gli autisti e le persone che mi tenevano compagnia».
La storia potrebbe finire qui, se non fosse che, qualche giorno fa, una vicina di casa di Maria è salita sullo stesso pullman che l’arzilla signora prendeva tutti i giorni e ha raccontato la storia agli autisti, preoccupati per aver perso, senza spiegazione, la compagnia di mille viaggi. E così carta e penna sono serviti per riallacciare i rapporti: «Cara Signora Maria - si legge sul biglietto spedito dai conducenti - siamo venuti solo ora a conoscenza del suo problema. Siamo davvero dispiaciuti di non poterla più vedere o avere con noi. Le auguriamo comunque una serena Pasqua, a lei e a tutta la sua famiglia. Firmato i suoi autisti».
Poche righe e diciassette firme che sono bastate per far tornare il sorriso a Marì e per regalare alla sua storia l’happy ending che, di certo, si merita.
Sara Venchiarutti
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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