L’assalto al caveau di Calcinatello «non è atto mafioso» anche in Cassazione
Chi ha tentato l’assalto al caveau della Mondialpol di Calcinatello non ha agito con metodo mafioso e neppure per agevolare clan mafiosi. Così la Cassazione ha rigettato il ricorso del pm Paolo Savio, titolare dell’inchiesta che a marzo scorso aveva portato all’arresto di 29 persone che, a vario titolo, erano pronte a entrare in azione per l’assalto al deposito di denaro, che l’11 marzo conteneva 83 milioni di euro. Del gruppo facevano parte foggiani di Cerignola e calabresi, oltre a bresciani, comprese alcune guardie giurate dipendenti della Mondialpol.
Un blitz delle forze dell’ordine fece saltare il piano quando la banda aveva già i kalashnikov in pugno. Secondo la Procura i 29 avevano agito «per favorire l’insediamento nel territorio bresciano della cosca Pelle di San Luca e al fine di agevolare il rafforzamento del clan mafioso Piarulli-Ferraro e Di Tommaso operante in provincia di Foggia».La Cassazione, che si è pronunciata sulle prime quattro posizioni analizzate, quelle di Vincenzo Carbone, Giuseppe Fratepietro, Massimiliano Cannarella e Antonio Nardacchione, ha ritenuto valida la ricostruzione del Riesame che aveva fatto cadere l’aggravante mafiosa. «Per poter affermare la ricorrenza del metodo mafioso - venne stabilito - non basta il mero collegamento dei soggetti indagati con contesti di criminalità organizzata».
Soddisfatta l’avvocatessa Rosa Afrune che difende tre dei quattro giudicati a Roma: «Complimentandomi con il pm Savio a cui va tutta la mia ammirazione per la prestigiosa e meritata nomina alla Direzione nazionale antimafia, sono contenta perché in questa vicenda la verità fattuale coincide con quella processuale».
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