La storia della Macogna, da cava a enorme discarica

La Macogna, un'area enorme tra Berlingo, Cazzago, Rovato e Travagliato
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Tutto inizia con la ghiaia. Si scava per decenni, il boom edilizio ha fame di materia prima. Poco alla volta i bacini si esauriscono. Parallelamente cresce a dismisura la produzione di rifiuti. Ci si potrebbe chiedere: ma cosa c’entra? C’entra eccome. Perché scava oggi, scava domani e anche dopo, alla fine rimangono delle gigantesche buche. E allora, perché non riempirle proprio di immondizia? Poi quando saranno stipate fino all’orlo ci si pianta sopra qualche albero e anche il fronte ambientale è sistemato. Alla Macogna si coltivava un sogno, saltare la fase del conferimento dei rifiuti e passare direttamente al parco. Stiamo parlando di una gigantesca area da ben 402 ettari che si estende su quattro Comuni: Berlingo, Cazzago San Martino, Rovato e Travagliato. Quando il 10 settembre 2010 venne depositata in Provincia la richiesta di riconoscimento del Parco locale di interesse sovracomunale (Plis), i sindaci dei quattro Comuni scrissero che «il Parco della Macogna rappresenta il paradigma della volontà di rinascita di un territorio spesso messo in ginocchio da eccessivi sfruttamenti, che ora vuole alzarsi». Quella richiesta non ottenne mai risposta, ma a dire il vero il sogno lo si accarezza ancora, e lo si farà fino al 22 aprile quando il Tar metterà la parola definitiva su una vicenda che si combatte a suon di carte bollate ormai da anni.

Nella Macogna c’è un gigantesco bacino estrattivo, in parte ancora attivo, in parte fermo da tempo. Proprio in una di queste cave dismesse, una voragine che si estende a Cazzago per 100mila metri quadri, dovrebbe trovare casa la tanto contestata discarica di inerti e speciali non pericolosi. Il timore di amministratori, cittadini e ambientalisti è che tutti questi materiali, per quanto «messi a dimora» in sicurezza, possano negli anni finire con l’inquinare le falde acquifere. Oltre al tutt’altro che irrilevante via vai di camion: basta fare un giro nella zona per rendersi conto che le strade non sono certo larghe a sufficienza per un simile traffico.

La storia recente della Macogna inizia 10 anni fa con la pubblicazione, il 25 gennaio 2005 sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia, del piano cave decennale. All’interno del testo si individua, per i quasi 600mila metri quadrati dell’Ate 14, quello che insiste su Cazzago e Travagliato, lambendo Rovato (a nord) e Berlingo (a sud), produzione escavabile di 4,6 milioni di metri cubi, ripartiti tra diversi operatori proprietari dei lotti, all’epoca divisi principalmente tra Nordcave srl e Cave San Polo srl. Il piano cave decennale, scaduto nel gennaio di quest’anno, prevedeva al termine delle escavazioni la riconversione «ad uso naturalistico, ricreativo e a verde pubblico attrezzato».

Dieci anni dopo, del recupero non c’è traccia: tra fallimenti e passaggi di mano, l’area della Macogna rimane una grande buco a cielo aperto. Poche, attualmente, le escavazioni all’interno, anche a causa dell’andamento del mercato estrattivo, tanto che inizialmente Cepav Due aveva individuato una porzione di Macogna come cantiere operativo per il vicino tracciato del Tav. Dopo una lunga querelle di ricorsi e valutazioni, l’opzione non andò in porto, con il cantiere spostato a Travagliato.

Al suo posto sono arrivate, invece, le richieste di discariche. Le prime, a cavallo tra 2007 e 2008 e relative a impianti di trattamento di rifiuti speciali non pericolosi, erano targate Profacta e Drr. Dopo la bocciatura, nel giugno 2012, da parte della Regione, Drr ha presentato una nuovo richiesta, stavolta per una discarica di rifiuti inerti e un deposito preliminare di inerti e speciali non pericolosi per un totale di 1 milione e 350mila metri cubi di volume, in territorio di Cazzago San Martino. Nel luglio 2013 è arrivato il via libera della Provincia.

Uno dei principali argomenti utilizzati dal Comitato "No alla Macogna" e da coloro che si sono schierati contro la discarica è il parere negativo dell'Asl al progetto: si tratta però, come hanno spiegato nei giorni scorsi dal Broletto, della valutazione di un precedente progetto per il conferimento di rifiuti non pericolosi, già bocciato dalla Provincia e dalla Regione. L'Asl ha in seguito ribadito il proprio no, ma sollecitata dalla Provincia a valutare l'ultimo e più aggiornato progetto, "ha dato come unica prescrizione quella di spostare il pozzo della discarica stessa, non mettendo quindi in evidenza problematiche specifiche, prescrizione che è stata recepita in autorizzazione".

Dopo i ricorsi dei Comuni contrari, risalenti al 2014, il via libera della Provincia di Brescia è stato verificato da un perito nominato dal Tar di Brescia che ha valutato positivamente gli aspetti tecnici del progetto, anche per quanto riguarda le quote di falda e la rappresentazione stratigrafica del sottosuolo. Secondo il perito non vi sarebbero pericoli di contaminazione dell'acqua: questo parere ha portato il Tribunale amministrativo a revocare l'ordinanza sospensiva emessa dopo le azioni legali delle amministrazioni della Franciacorta e della Bassa. Il merito verrà discusso, come detto, il 22 aprile: nei giorni scorsi il privato ha già iniziato a preparare il fondo della discarica, evidentemente non si aspetta sorprese.

Francesco Alberti
f.alberti@giornaledibrescia.it

 

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