La piccola Emilia, un miracolo nato ai tempi del Covid-19
Emilia Rossi è una bambina di 25 giorni. Nata nel cuore della crisi, i suoi occhi, appena aperti, hanno incrociato frammenti di quell’ospedale diventato epicentro della lotta al coronavirus, il Civile di Brescia. A prenderla in braccio, per prime, ostetriche e puericultrici. A cullarla, per prime, ancora loro. A nutrirla, cambiarla, addormentarla, pesarla, fotografarla, per quasi tre settimane, sempre loro. Fino a quando mamma Mariangela ha riaperto gli occhi. E papà Paolo è riemerso da quell’isolamento costretto di 21 giorni.
La storia di Emilia è una storia di forza. Forza condivisa. La mamma Mariangela Cuter, bergamasca, 34 anni, da tre residente a Erbusco col marito, è una delle donne che hanno partorito positive al coronavirus. Tutto comincia il 13 marzo quando, dopo giorni di febbre e tosse, la giovane insegnante di inglese si presenta alla Poliambulanza. «La radiografia evidenziava una polmonite severa, la febbre era parecchio alta, i medici erano preoccupati. Avevo il termine il 23 marzo, ma aspettare era troppo rischioso. Mi hanno trasferito al Civile appena il tampone ha dato esito positivo e hanno programmato un cesareo d’urgenza».
Emilia viene al mondo il 16 marzo, fra mascherine, tute bianche e visiere: la neomamma la sente giusto piangere, la intravede ma - al contrario della bimba, per cui il tampone risulta negativo - è positiva al Covid-19 e quindi non può toccarla, accarezzarla, stringerla. Per Mariangela la situazione si complica pochi giorni dopo il parto, quando il virus inizia a picchiare duro: la crisi respiratoria si fa più grave, il caschetto Cpap non basta più, i medici non lasciano alternative. La neomamma va intubata. «Non sapevo come sarebbe andata, quale sarebbe stato il mio destino. E così ho chiesto un solo favore: quello di vedere mio marito Paolo. Dovevamo parlarci, decidere il futuro di Emilia, era importante». I medici dicono sì.
E Paolo Rossi - 44 anni, pilota di mongolfiere e promotore di escursioni in quad e Vespa in Franciacorta, originario di Osio Sotto, nella Bergamasca - arriva al Civile. Bardato dalla testa ai piedi sfiora sua moglie: «Era estremamente debole, faticava a parlare. Ho potuto starle vicino solo per qualche secondo, dietro di me c’era già la squadra dei medici pronta a intubarla. Ma i nostri sguardi si sono incrociati, è bastato per dirci tutto».
Mariangela rimane intubata per cinque giorni. Giorni in cui Paolo, che ha studiato al Seminario di Bergamo ed è stato insegnante di religione, sfodera dosi di forza, fede e speranza. Lo aiutano le foto della piccola Emilia: non ha ancora potuto vederla o accarezzarla, Paolo, ma le ostetriche gli inviano sul cellulare immagini di quel fagottino di speranza, che tanto basta a dargli fiducia. Lo aiutano gli amici, i vicini di casa che cucinano per lui, i sacerdoti impegnati a pregare per la sua famiglia, i medici, le ostetriche che coccolano Emilia in quel nido diventato, da settimane, casa sua. Fino a quando, il 26 marzo, Mariangela migliora, riapre gli occhi, viene estubata. E dopo due tamponi negativi può prendere finalmente in braccio Emilia: «Per me, è come se fosse nata quel giorno».
Domenica scorsa mamma e figlia sono potute tornare a casa, da papà Paolo. «Sapevamo che in ogni caso, comunque fosse andata, la nostra storia d’amore avrebbe avuto un senso. Emilia è nata mentre tutti, ma proprio tutti, si stavano occupando di noi, senza risparmiarsi. In ospedale chiunque mi ha aiutato e fatto forza: le puericultrici hanno coccolato la bimba al nostro posto, perfino chi si occupava delle pulizie mi chiamava per nome, mi faceva coraggio. Di questi giorni ricorderò per sempre i volti di chi c’è stato, e il mondo pieno d’amore in cui Emilia è venuta al mondo».
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