La comunità Shalom risponde alla accuse: «Qui non ci sono santoni, testimonianze manipolate»

La comunità e suor Rosalina Ravasio hanno presentato querela dopo i video diffusi online nell'inchiesta di Fanpage
Suor Rosalina Ravasio alla conferenza stampa di replica all'inchiesta
Suor Rosalina Ravasio alla conferenza stampa di replica all'inchiesta
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La comunità Shalom e suor Rosalina Ravasio vanno al contrattacco. Lo fanno con una serie di querele per diffamazione, calunnia e sostituzione di persona presentate alla Procura della Repubblica e con una conferenza stampa in cui la religiosa insieme ad alcuni ospiti, di ieri e di oggi, della struttura i loro familiari, professionisti e volontari che lavorano all’interno ha tenuto ieri mattina a Palazzolo.

Una mattinata in cui è stata suor Rosalina a prendere la parola e, per oltre un'ora, citando esempi e invitando i suoi ragazzi a fornire testimonianze sui temi trattati, ha risposto punto su punto alle accuse che le sono state mosse nei giorni scorsi da un'inchiesta di Fanpage, trasmessa anche sulla trasmissione di La7 Piazza Pulita. Come nello stile della religiosa non sono mancate le espressioni colorite e i «vergognatevi» all’indirizzo dei giornalisti delle testate che hanno realizzato l'inchiesta e che erano presenti in sala. Per prima cosa ha nettamente rifiutato la definizione di «santona»: «Qui non ci sono santoni ma gente umile che lavora. Io non mento perché ho la fortuna di non dover dire menzogne per mangiare».

Rivolgendosi direttamente a chi l’ha accusata non ha usato mezzi termini chiedendo «che competenze avete per valutare i dosaggi dei farmaci o da cosa siano dati gli squilibri pshichici». Entrando poi nel dettaglio dei percorsi riabilitativi, e rispondendo alle domande su episodi filmati o raccontati da ex ospiti, suor Rosalina ha spiegato che «all’interno della comunità ci sono situazioni molto delicate, di soggetti violenti e ogni episodio va contestualizzato. Alcuni ragazzi sono scappati anche da sei o sette comunità, noi facciamo il lavoro sporco».

Parlando poi di chi accusa dopo aver abbandonato il percorso ha spiegato che «è un classico. Si parla di violenze e maltrattamenti subiti per giustificare il proprio fallimento». Ancora ha spiegato di avere «le prove che le testimonianze mostrate sono state manipolate o che si sono fatte pressioni su soggetti disabili o che sono stati allontanati» e ancora «chi è ricco e prepotente non può permettersi di umiliare chi lavora».

Rispondendo poi ad una delle domande la religiosa ha detto: «Non abbiamo bacchette magiche. La riuscita del percorso dipende dalla volontà del soggetto, noi cerchiamo di ricreare attorno a ciascuno una famiglia, un contesto di persone che si sostengono tra loro. Nella mia comunità ho visto davvero accadere i miracoli».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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