Giulio Mottinelli, le opere nel monastero e il faggio nel cuore

Giulio Mottinelli, artista indiscusso del panorama pittorico lombardo, si muove dal monastero di San Pietro in Lamosa a Provaglio di Iseo a Garda di Sonico, la piccola patria camuna, tra i boschi dell’identità profonda, fino al punto di unire sogno e realtà: il fascino della non piccola antologica di 35 dipinti esposti nel cuore del monastero ai piedi delle Torbiere, nei quali si ritrae la biografia di quell’ambiente montano. Così che mostra artistica e natura reale si compongono in un’unità magica, da perfetti giorni di fiaba.
La notizia da San Pietro in Lamosa è il successo della mostra, le migliaia di visitatori, la proroga fino al 3 febbraio; sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 17. L’altra notizia, dolce e amara, è la resistenza del faggio decano del parco dell’Adamello all’uragano di alcune settimane fa, lassù al Montouf, nella malga raggiunta da noi qualche anno fa per difendere e ristorare la pianta amica. Quel faggio che Giacomo, il nonno di Giulio Mottinelli, trattava come un cittadino, a cui parlava come si parla alle piante e assicurava che era un gran bel personaggio. Poi osservava il cielo e garantiva «che i pracc, dumà, i garés biit» che all’indomani sarebbe piovuto, i prati avrebbero bevuto.
La notizia in più è il sentiero rimesso in sesto da contadini, pastori, comunali con la velocità di rapide moto seghe, a mettere il freno a un senso di apocalisse. Magone. Incontriamo Giulio Mottinelli in mostra, davanti alla luce sfolgorante dei dipinti: «A San Pietro in Lamosa scopro un nuovo riparo - dice - quando penso a quelle anime di piante messe a terra. Ho il magone e mi consolo con quel titolo della mia antologica messo lì, con una bontà onirica, dal mio amico Tino Bino, "Giulio Mottinelli e il profumo dell’aria". Mi sento dentro il bosco salvato, con la protezione della mia luna, delle parole di mio nonno Giacomo. Prego per le persone vive e morte della mia terra».
Lassù, intorno al faggio che ha resistito, c’è un cimitero immenso di piante morte. Quaggiù, intorno alla mostra nel monastero, c’è la grande piazza del bosco rivissuto nell’arte pittorica del maestro. Lassù, appena sarà primavera, risaliremo da Garda al Premassone, in val Malga, nella rada del gran faggio. Lo cureremo, come alcuni anni fa, con l’aiuto del Parco, delle banche, di cittadini, di tanti amici. Noi del Giornale di Brescia, come allora, saliremo ad abbracciare il faggio, a contargli gli anni nelle rughe del tronco grande come quattro bracciate di giornalisti della pianura. Intanto, qui, nel cuore della mostra, l’arte salva la natura, la difende da ogni oltraggio, la consegna all’attenzione del visitatore. Intatta, come se l’uragano fosse un incubo e il sogno di Mottinelli abbia trovato un cielo di salvezza, una luce potente contro un tempo senza regole.
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