Scuola

Come posso aiutare mio/a figlio/a ad essere meno ansioso?

La paura è un’emozione che può proteggere… ma quando l’ansia diventa un problema?
Progetto Oasi, consigli per gestire l'ansia - © www.giornaledibrescia.it
Progetto Oasi, consigli per gestire l'ansia - © www.giornaledibrescia.it
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Buongiorno, sono la mamma di Chiara, 18 anni.

Mia figlia è sempre stata una ragazza tranquilla. Certo, sempre un po' insicura di sé e un po’ in ansia prima di una verifica o un’interrogazione di matematica, la sua bestia nera, ma in generale una ragazza serena.

In questi ultimi mesi però, la vedo spesso in ansia: fatica a dormire, fatica a concentrarsi, a volte piange per piccole cose, scatta subito... certo, c’è la maturità che è ancora indefinita, l’iscrizione all’università che non si sa quando si potrà fare, i test d’ingresso, gli amici che non vede ma a volte mi sembra che esageri, visto che siamo fortunati e stiamo bene, ma se glielo ricordo è ancora peggio: “mamma tu non capisci!” mi sento rispondere. Cosa posso fare per aiutarla ad essere meno ansiosa?

Come abbiamo sottolineato anche nei precedenti articoli «Ho bisogno di vivere la mia vita on-life» e «Adolescenza e privacy: come trovare l’equilibrio giusto», l’adolescenza impone una serie di cambiamenti - fisici, psicologici e sociali - che la rendono una fase di vita delicata già in condizioni di normalità, a maggior ragione durante questo periodo di emergenza sanitaria.

Le restrizioni imposte dalla situazione attuale, nonostante le maggiori aperture di questa seconda fase, cozzano con molti dei bisogni e cambiamenti in atto nella vita di un adolescente: l’estate è alle porte, eppure incontrare fisicamente gli amici continua ad essere vietato, non si possono frequentare liberamente locali e luoghi di aggregazione e le iniziative tipiche di questa stagione (come festival o concerti) sono sospese. 

Anche gli spazi di condivisione continuano ad essere limitati: Chiara non potrà studiare per la maturità insieme agli amici, condividendo con loro il carico di ansia e le paure insite in questo traguardo, non potrà incontrarli per confrontarsi tra una prova e l’altra, sfogando magari un senso di rabbia o di frustrazione o semplicemente esorcizzando i timori dovuti ai tanti elementi indefiniti (le materie, il tipo di prova, il presidente di commissione) e non potrà stare fuori dalla porta dell’esame circondata dall’affetto e dal conforto delle/dei migliori amiche/amici.

Insomma tutto il contrario dei bisogni di un/una ragazzo/a della sua età!

Possiamo comprendere come alcuni/e adolescenti possano sentirsi in questo periodo doppiamente sotto pressione: da un lato la preoccupazione per la salute e il benessere propri e delle persone care, dall’altro cercare nuovi modi per rispondere ai tipici bisogni evolutivi.

All’interno di questa pressione possiamo inserire anche lo stress di adattarsi a nuove modalità, in particolare a quelle richieste per la gestione delle relazioni sociali ma anche della riorganizzazione della scuola (utilizzare i programmi per seguire le lezioni, scaricare i materiali, interagire via video, gestire gli intoppi e le interruzioni durante il collegamento... e, per gli studenti della quinta superiore, anche le nuove procedure per la maturità).

Quindi, è facile che anche i ragazzi e le ragazze si sentano insicuri, impauriti e in ansia, dominati dalle stesse domande del mondo adulto «Come andrà? Quando finirà? Cosa potrà accadere?» applicati agli ambiti di loro interesse: la salute, la scuola, il futuro, le relazioni amicali, le relazioni sentimentali...

L’ansia è un meccanismo che ha una precisa funzione: quella di anticipare la presenza di un pericolo, prima ancora di averlo davanti (in questo differisce dalla paura, in cui invece il pericolo è presente).

Tutti abbiamo in mente l’immagine della gazzella che si abbevera al fiume, pur restando in allerta nel timore dell’arrivo di un predatore. 

Ecco, in questi termini, se la gazzella non provasse un minimo di ansia probabilmente presterebbe meno attenzione all’ambiente intorno, con i rischi che tutti possiamo immaginare... 

Anche gli esseri umani possiedono questo meccanismo di sopravvivenza; ma come funziona? Com’è fatta l’ansia in una persona?

Gli studiosi la dividono in tre componenti: corporea, cognitiva e comportamentale.

La prima fa riferimento ai cambiamenti che avvengono nel nostro corpo nel momento in cui si prova questo stato emotivo: il battito cardiaco e la respirazione aumentano, il flusso sanguigno viene incanalato verso i muscoli più importanti, il sistema immunitario e quello digestivo riducono le loro funzioni... il tutto per preparare il corpo a due opzioni possibili per garantire la sopravvivenza: attaccare o fuggire. Pensiamo a Chiara, dall’esterno sua mamma potrà notare un leggero pallore, oppure un aumento della sudorazione o anche un aumento del tremore di braccia e/o gambe.

Potrebbe anche osservare che la figlia fa pensieri estremamente preoccupati, che si immagina scenari e risultati negativi e talvolta catastrofici, che alla mamma di Chiara appariranno esagerati e irreali. Ecco la componente cognitiva: l’ansia eccessiva favorisce infatti pensieri catastrofici e focalizzazione esagerata sul potenziale pericolo, soprattutto quando questo è incerto.

Infine, dal punto di vista del comportamento si possono presentare sia azioni dirette ad affrontare la fonte d’ansia che ad evitarla, volontarie o involontarie: Chiara potrebbe evitare di studiare quella materia che le crea ansia, magari lamentando anche particolari difficoltà di concentrazione mentre vi si applica, come indicato nella lettera. Infatti, non pensare a ciò che si teme è spesso una modalità indiretta e inconsapevole per allontanarsi dal pericolo percepito. Oppure potrebbe all’opposto cercare a tutti i costi di controllare la situazione ed evitare il pericolo temuto studiando in modo esageratamente metodico e rigido.

Ma quale pericolo? I pericoli che i ragazzi affrontano oggigiorno, infatti, non sono legati alla sopravvivenza fisica, bensì a quella psicologica: deludere i genitori, risultare meno apprezzabili di fronte ai compagni, non essere come si vorrebbe... questi sono i potenziali pericoli per un adolescente, poiché attraversa una fase in cui sta costruendo la propria identità e lo sguardo dell’altro assume notevole importanza. 

Quando l’ansia diventa un problema? 

Già agli inizi del novecento, diversi studi mostrarono come un certo grado di attivazione fisiologica fosse utile a focalizzare la motivazione e l’attenzione sul compito da svolgere, anche se solo fino ad un certo punto.

Da un lato, infatti, se Chiara non avesse alcun livello di attivazione per la scuola e il grado di importanza e interesse fossero pari a zero, probabilmente anche il suo livello di impegno e concentrazione calerebbe; dall’altro se Chiara attribuisse troppa importanza alla scuola, ad esempio sentendo di essere una persona che va bene solo se eccellente a scuola, questo potrebbe portarla ad attivarsi molto, fino a compromettere la sua prestazione. All’estremo, se l’attivazione fosse tanto alta da diventare sproporzionata rispetto alle situazioni e da complicare notevolmente la vita di Chiara anche nelle più comuni situazioni scolastiche, potrebbe trattarsi di un disturbo d’ansia.

Ovviamente, la valutazione di un eventuale disturbo d’ansia va sempre lasciata ad un professionista, ma questo non significa che la mamma di Chiara non possa prestare attenzione ad alcuni elementi: come sta sua figlia? Dorme bene? Nonostante le normali preoccupazioni per la scuola, è serena? È soddisfatta della scuola in generale? E di sé?

Proviamo ora a dare dei consigli alla mamma di Chiara per aiutare sua figlia a gestire le sue reazioni emotive. 

L’ansia è un’emozione segnale (come la spia dell’automobile) e possiamo vederla come un modo per proteggersi dai pericoli e attivarsi. La mamma di Chiara potrebbe chiedersi: cosa segnala l’ansia della figlia in questo momento? Cosa significa per Chiara la maturità? Perché? E affrontarla senza le amiche vicine? 

Come fare? Un primo passo è quello di creare un dialogo in cui permettere a Chiara di esprimere le proprie emozioni e preoccupazioni, portandole le proprie riflessioni e sensazioni, insomma facendole un po’ da specchio. Ad esempio, la mamma potrebbe dire alla figlia che la vede molto agitata e tesa in viso e chiederle se anche lei riconosce di sentirsi in questo modo. In tal caso, la mamma potrebbe raccontarle le sue riflessioni, ad esempio, riguardo all’importanza che ha il voto di maturità per Chiara e forse la preoccupazione che il suo valore personale dipende dai risultati scolastici.

Un’altra cosa che la mamma di Chiara potrebbe fare è aiutarla a riconoscere che nella vita, come nel proprio mondo interiore, non tutte le cose sono direttamente controllabili. Ci sono aspetti che non si possono controllare rigidamente: nessuno infatti può scegliere quando si arrabbierà, quando sarà addolorato, quando proverà paura... le emozioni arrivano, ma possiamo imparare a gestirle e padroneggiarle.

Quando Chiara e la mamma avranno più chiaro cosa sta segnalando quella «spia», potranno valutare insieme quali strategie mettere in atto.

PER CHI HA VOGLIA DI LEGGERE

Fernandez & Vinciguerra, Il panico ospite imprevisto, MIMESIS Edizioni

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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