«La sfida di impedire che gli asteroidi colpiscano la Terra»
L’attuale pandemia ce lo ha insegnato. Meglio prepararsi sempre... Tra gli scenari da incubo ce n’è uno considerato, di solito, solo come soggetto per cineasti e scrittori: l’impatto di asteroidi sulla Terra. Ce lo ricorda, il 30 giugno di ogni anno, proprio l’Asteroid Day, evento internazionale tra i co-fondatori del quale figurò il compianto Stephen Hawking. La data è stata scelta perché il 30 giugno 1908, nella taiga siberiana, si verificò un impatto o un’esplosione, causata da un grande meteorite o da una cometa, che distrusse decine di milioni di alberi. Il bagliore fu visto ad oltre mezzo migliaio di chilometri...
A Frascati, un astronomo bresciano, Marco Micheli, si occupa esattamente di sorveglianza del cielo e di rischi spaziali. L’abbiamo intervistato. Quanto va temuto l’impatto sulla Terra di un oggetto cosmico? Le meteoriti sono la prova tangibile del potenziale pericolo causato dalla caduta di oggetti di origine spaziale e il Bresciano vanta il record nazionale. Il meteorite di 220 kg che colpì Alfianello nel 1883 è, ad oggi, il più grande tra quelli rinvenuti in Italia. Gli oggetti piccoli rappresentano il rischio minore: la probabilità di essere colpiti è quasi trascurabile.
Diverso il caso di un «sasso» spaziale di dimensioni maggiori, come anni fa ci hanno ricordato le drammatiche immagini del meteorite caduto in pieno giorno in Russia. Non è possibile prevedere con molto anticipo se una traiettoria interseca il nostro pianeta? È proprio l’oggetto delle ricerche di cui mi occupo da molti anni in un centro specializzato dell’Agenzia Spaziale Europea.
L’obiettivo è riuscire a pattugliare il cielo attraverso i dati raccolti da una serie di telescopi automatici. Sono come dei robot che monitorano continuamente gli spazi siderali andando a caccia di nuovi asteroidi. Ad astronomi come me spetta poi il compito di riosservare questi oggetti, il più a lungo possibile, con altri telescopi più grandi. In questo modo si raccolgono i dati che servono per calcolare le orbite. Lo scopo è di verificare che non abbiano mai ad incrociare la traiettoria della Terra. Dovete individuare anche i corpi più piccoli.
L’impatto di un oggetto di una decina di metri ha infatti effetti disastrosi se avviene in un’area densamente abitata... La sfida è proprio questa. Perciò l’Agenzia sta costruendo un telescopio che consentirà di scovare anche gli oggetti minori, come quello, non previsto, caduto in Russia. Ogni anno, mediamente, si scoprono ormai solo una mezza dozzina di nuovi asteroidi grandi più di un chilometro in orbite che possono passare vicine alla Terra, perché li abbiamo già visti e catalogati quasi tutti.
Invece quelli con taglia fino al metro sono qualche milione e ne conosciamo solo poco più di 20mila. Per nostra fortuna, solo una piccola percentuale di questi incrocerà la Terra da molto vicino nel prossimo futuro. Quindi sareste in grado di avvisare la Protezione Civile? Con quanto preavviso? Individuare la localizzazione con la precisione necessaria non è scontato. Anche nel migliore dei casi il punto di caduta potrebbe essere compreso in un’area dell’ordine dei chilometri, a causa degli imprevedibili effetti sull’asteroide durante l’ingresso nell’atmosfera: questo complica i piani di evacuazione. Ancora meno certi sono gli effetti dell’impatto: non dipende solo dalle dimensioni, ma anche dalla composizione, spesso difficile da determinare a priori. Se l’oggetto dovesse arrivare, poi, dalla parte del Sole, dove i telescopi non riescono a vedere nuovi asteroidi, la previsione avrebbe anche tempi molto stretti. Nei film di fantascienza il rischio viene risolto con un approccio da guerra spaziale...
Tecnicamente è possibile difendersi da un asteroide, ma è assai complesso. Distruggerlo è pressoché impossibile con le attuali tecnologie (anche perché potrebbero arrivare frammenti quasi altrettanto pericolosi), ma lo si può deviare per fargli mancare la Terra. Bisogna considerare, poi, le implicazioni politiche: deviare il punto di impatto di un oggetto spaziale può renderlo un potenziale rischio per altre nazioni. Possiamo concludere affermando che la pandemia ci ha insegnato che occorrono dei piani che vanno preparati a livello globale. Bisogna unire sforzi, strategie, conoscenze e risorse economiche.
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