Scienza

La materia di cui sono fatte le stelle

Ovvero: come il ricercatore bresciano Fausto Cargnoni è riuscito con i suoi studi a consentire l'analisi delle nane bianche
Il Globular Star Cluster 47 Tucanae - Immagine Nasa/Esa/Hubble
Il Globular Star Cluster 47 Tucanae - Immagine Nasa/Esa/Hubble
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La rivelazione, per Fausto Cargnoni, arriva con una domanda e questa domanda ha la forma di un'equazione. Non appena la scopre, scatta l'amore a prima vista. «Era così elegante», dice quasi arrossendo e bisogna capire che per lui, chimico e fisico teorico al Consiglio nazionale delle ricerche, a Milano, l'eleganza ha forme diverse da quelle a cui siamo abituati. 

«Ci sono equazioni che diventano sempre più complesse man mano si procede nella soluzione, allora capisci che per arrivare alla fine devi fare delle approssimazioni, sfrondare - prova a spiegarci -. Quelle eleganti sono quelle che invece assumono una forma che hai già visto, magari in alcuni teoremi di matematica studiati anni prima. E allora ti ricordi, capisci che puoi applicarli, che mentre vai avanti l'equazione si risolve in qualcosa di semplice».

Con la sua amata, il cinquantenne ricercatore bresciano è riuscito a fare calcoli che hanno dimostrato che sulle stelle nane bianche c'è il magnesio, stabilendo di quale tipo e in che quantità. La bella equazione consente di analizzare non solo il magnesio, ma tutti gli altri elementi che compongono questo corpo celeste ormai privo di fusione nel nucleo e avviato verso un lento spegnimento. Talmente lento che nessuno ne ha mai vista una a fine vita, una nana nera: si pensa infatti che il corso dell'evoluzione di una simile stella sia più lungo dell'età del nostro universo.

 

La Nebulosa Anello, nella costellazione della Lira - Immagine Nasa/Robert Gendler
La Nebulosa Anello, nella costellazione della Lira - Immagine Nasa/Robert Gendler

 

Pausa, torniamo sulla Terra e riprendiamo la storia dall’inizio. Il vento muove gli alberi, qualche uccellino cinguetta nonostante il caldo. Cargnoni mi parla del suo lavoro mentre presidia l'area di una festa, in città, dove lavora come volontario. Ho bisogno di ancorarmi alla panca di legno, in alcuni momenti, per seguirlo. Racconta che la scoperta scaturita dall’equazione da lui risolta è stata compiuta materialmente in Canada, lo scorso anno, dai ricercatori dell'Istituto di astrofisica, ma per ricostruirne le origini bisogna passare da Milano, dove il nostro è arrivato in seguito agli studi scientifici al brescianissimo liceo Calini. Nella metropoli si iscrive a Chimica-fisica teorica, «eravamo in cinque», nemmeno all'asilo nido ci sono così pochi discepoli, si specializza in Scienze dei materiali alla Bicocca per poi prendere il dottorato di ricerca in scienze chimiche. Approdato con grande dedizione al Cnr dopo una serie di concorsi finiti male, «arrivavo sempre secondo, magari anche solo per mezzo punto, e mi dicevano peccato Cargnoni, perché le mancherebbe proprio poco...», decide di approfondire la fisica quantistica. 

«Nel 2001 mi rivolsi a Mario Raimondi e a Ermanno Gianinetti, che era solito suonare il violino nel suo studio, e iniziai con loro un percorso di studi come se fossi tornato a scuola. Ogni settimana ci trovavamo per verificare quello che avevo imparato sui manuali». Dopo circa un anno di rodaggio, i due pensano che l'ormai ex ragazzo, giunto a trentatré anni, sia pronto per il salto. Raimondi rispolvera allora un faldone con una ricerca avviata negli anni Settanta con altri due studiosi inglesi per descrivere il comportamento degli elettroni quando interagiscono tra loro. Si chiamava teoria Valence bond. I ricercatori avevano impostato l'equazione, l'avevano portata avanti, ma ad un certo punto si erano dovuti arrendere: anche mettendo assieme tutti i computer del mondo, non ci sarebbero state le capacità di calcolo necessarie a risolverla. Senza contare che, mentre i tre sbattevano contro i limiti umani e tecnologici, il mondo accademico si appassionava ad un'altra teoria molto più pop, si fa per dire, chiamata orbitale molecolare e usata per descrivere gli stessi fenomeni. Per Raimondi e soci, però, la loro teoria era molto più efficace, corretta e precisa e con Cargnoni era arrivato il personaggio giusto per portarla avanti, a trent'anni di distanza.

Quello che accade dopo è simile a un film. Il ricercatore bresciano, capelli ricci scombinati, aria svagata, occhialetti da teorico dell'universo e solida determinazione, si innamora dell'equazione come un direttore d'orchestra impazzirebbe per la Nona di Beethoven e si mette a risolverla pezzo per pezzo. A volte impiega giorni e giorni soltanto su un singolo passaggio: «Avevo questo metodo per cui mettevo una singola canzone in loop fino a quando non superavo la parte in cui mi ero bloccato. Era come se stessi fermando il tempo ascoltando sempre la stessa musica e poi finalmente riuscivo a passare oltre. A volte capitava di non dormire la notte, di prendere il treno da Brescia a Milano e di capire improvvisamente che cosa dovevo fare per proseguire. Poi dopo magari passavo due o tre giorni soltanto a riguardare le carte, a sistemarle, senza procedere con i calcoli, come per rifiatare». Tra i musicisti prediletti da Cargnoni c'è John Cage, di cui ascoltava spesso brani come Four Walls, se volete farvi un'idea.

 

John Cage - Four Walls

 

E mentre il ricercatore ricerca, attorno a lui i colleghi gli dicono che è matto, che deve lasciare perdere, che nessuno è mai riuscito a concludere quei calcoli e che soprattutto non c'erano ancora gli strumenti tecnici per verificare la fondatezza dei risultati. Pura teoria su teoria su teoria, senza nessun aggancio pratico. Anche il direttore del dipartimento gli consiglia di lasciare perdere: «Raccoglierai solo frustrazione con lavori di questo tipo», sentenzia, ma Cargnoni ovviamente si incaponisce. «Me ne fregavo e andavo avanti», dice ridendo e ricordando come lo statuto del ricercatore prevede autonomia completa, fatto salvo la necessità di dimostrare che qualcosa, effettivamente, si sta facendo. Certo, c'è il problema dei finanziamenti. «Ho iniziato a vincere bandi con milioni di ore di calcolo in vari istituti di ricerca, prima a Roma e poi a Bologna, e sono riuscito a procedere». In pratica, gli vengono messi a disposizione migliaia di computer necessari a risolvere vari passaggi dell'equazione. Ci vogliono quattro anni, ma alla fine riesce a raggiungere la soluzione. Il che è una grande soddisfazione per lui, anche se attorno lo scetticismo resta: adesso che hai quei numerini, gli dicono, come fai a dimostrare che sono giusti nella pratica? Già, come fa? Non può. Con la sua equazione è riuscito a prevedere il comportamento degli elettroni di un atomo di magnesio quando si trova vicino a un atomo di elio, ma per il momento solo in linea teorica, senza una controprova. Come mai elio e magnesio? «L'elio è considerato un atomo inerte, privo di influenza, ma in realtà ce l'ha. Piccola, ma ce l'ha. Io volevo vedere che effetto aveva su un atomo di magnesio, che è relativamente semplice. È come se avessi voluto calcolare l'effetto che l'attrazione gravitazionale di Nettuno ha sulla Terra. È minima, ma c'è». 

 

Una nana bianca
Una nana bianca

 

Siamo arrivati al 2005, Cargnoni pubblica la ricerca e si dedica ad altri progetti, anche se nel frattempo continua a mettere alla prova i suoi calcoli cambiando gli atomi, usando elio e rame, elio e calcio, elio e stronzio, e avanti così. Poi, nel 2018, la svolta. Da Montreal un ricercatore lo contatta via mail dopo avere letto i suoi studi: c'è un telescopio puntato su una stella nana bianca nella regione della costellazione della Lira, ai canadesi servirebbero i suoi calcoli per analizzare le informazioni raccolte. Uno strumento che fino a pochi anni prima non c'era, ora è a disposizione degli scenziati e l’equazione risolta da Cargnoni è ciò che serve per capire i dati che invia. Il bresciano accetta, all'Istituto di astrofisica oltreoceano si mettono al lavoro e riescono a scomporre lo spettro luminoso della stella nana. «Hanno usato la formula senza cambiare una riga - dice senza nascondere l'orgoglio -. L'unica cosa che abbiamo delle stelle è la radiazione elettromagnetica che emettono, dato che naturalmente non possiamo avvicinarci a loro. Da quella radiazione si possono però capire quali sono gli elementi che compongono la stella, oltre ad analizzarli quantitativamente». La stella si chiama WD2216675 (wd sta per white dwarf, nana bianca): se adesso la conosciamo meglio, assieme alle sue colleghe, è grazie a calcoli durati decenni, elaborati da menti diverse e conclusi da Cargnoni.

 

La Nebulosa Southern Crab- Immagine Nasa/Esa
La Nebulosa Southern Crab- Immagine Nasa/Esa

 

«Credo nella ricerca in se stessa e in questo settore l'astrofisica ha un vantaggio competitivo: non serve a niente - dice sornione -. A cosa serve infatti sapere se c'è il magnesio su una stella? Di fatto è inutile, ma io mi dico "e che ne so?" e vado avanti». Viene in mente quella volta in cui Poirot si trovò davanti a un particolare indizio, tale solo per il suo acume, e a chi gli chiedeva spiegazioni rispondeva: «È totalmente inutile, ecco perché è così interessante». «Se riesco a prevedere dei fenomeni e raggiungere un risultato, non è per me, ma per la comunità umana e per chi verrà dopo. E come disse Jurij Gagarin dopo essere stato in orbita, "quassù non c'è nessun Dio". Non c'entra l'ateismo, questo per me vuol dire che la ricerca scientifica è fatta dall'uomo per l'uomo. Non stiamo cercando un disegno intelligente superiore, le nostre sconfitte e i nostri successi si misurano nella scala dell'uomo». Nessun progresso scientifico avviene grazie a un singolo, ci sono sempre passaggi condivisi tra più generazioni. «Nel mio lavoro utilizzo calcoli matematici che magari risalgono a trecento anni fa e che non servivano certo a fare andare avanti la macchina a vapore, ma che erano pure costruzioni mentali». Che però, a distanza di tempo, hanno dimostrato la loro efficacia e la loro utilità. «In questo sta la loro potenza».

Non so più da quanto tempo stiamo parlando, ho dei dubbi pure sul luogo in cui ci troviamo. Siamo ancora nella Via Lattea? Nei giorni scorsi, mentre leggevo a mio figlio un libro sulle stelle e i pianeti, a un certo punto mi ha chiesto «cosa c'è dopo l'universo?». Naturalmente non sapevo che dirgli, ma il fatto che non sapessi la risposta non gli ha impedito di farmi la domanda. È un inizio, credo. Mentre il ricercatore mi racconta del suo lavoro, un ragazzo passa e chiede se per caso qualcuno ha trovato un mazzo di chiavi. Va bene il magnesio stellare, ma evidentemente ci sono anche questioni più terra a terra da risolvere. Anche dal punto di vista umano. Al posto di Cargnoni, ad esempio, visti gli esiti della ricerca canadese sarei corso nel corridoio davanti ai miei colleghi esultando come per la promozione del Brescia in serie A. «Io ho messo semplicemente un cartello con una citazione di Proust: "Cessando di essere pazzo, diventò stupido". Ecco, magari pazzo sì, ma stupido non lo diventerò mai».

 

Fausto Cargnoni
Fausto Cargnoni

 

Ora si sta dedicando a un progetto sul trasporto quantistico, con circuiti di elettroni estremamente limitati dal punto di vista numerico. Mentre me lo spiega vede che mi perdo, mi viene sete e bevo l'acqua, cambio argomento. Insegnare, mai? Qui sorride: «Forse ora sono arrivato al punto in cui penso che potrei insegnare fisica atomica». E perché prima no, troppa modestia? Si infervora. «No, non sono modesto. Mi sono appassionato alla fisica quando, al secondo anno di università, un professore ci ha detto "dimenticatevi tutto quello che avete imparato finora, quest'anno ci sediamo su un elettrone e con la matematica e la fisica spieghiamo cosa succede. Lì ho pensato che figo, voglio essere anch'io così. Ho sempre disprezzato i docenti che senza i loro appunti non si ricordavano i teoremi. Io voglio dire ai miei studenti "sediamoci su un elettrone" e forse ora sono pronto per farlo. Bisogna essere spietati con se stessi prima di insegnare agli altri».

Dal nucleo della stella siamo arrivati al nucleo della sua motivazione, di ciò che lo spinge ad andare avanti. «Voglio essere uno che con la matematica spiega le cose», conclude semplicemente, ritrovando la calma e forse perfino la timidezza iniziale. «Mi bastano carta e matita. E un po’ di milioni di ore di calcolo». Ma la matematica non può mica spiegare tutto, penso, immaginando però la sua risposta: «E io che ne so?». Nel dubbio, meglio provarci. 

 

 

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