Il nostro primo ricordo? Probabile frutto dell'immaginazione
C'è chi si rivede piccolo mentre muove i primi passi sorretto da mamma e papà e chi, invece, ricorda il sorriso fatto alla nonna in un giorno d'estate in spiaggia. C’è chi rievoca un giocattolo, le prima parole pronunciate, la nascita del fratellino, o magari un sogno. Il primo ricordo si potrebbe dire che non si scorda mai ma, secondo una nuova ricerca, in quattro casi su dieci si tratta di memorie immaginarie. Ovvero narrazioni artefatte frutto di rappresentazioni mentali che combinano reminiscenze e dettagli appresi in periodi successivi all'infanzia, ad esempio da fotografie o da conversazioni familiari.
Lo rileva uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science, opera dei ricercatori della City University of London, dell'Università di Bradford e di quella di Nottingham Trent, che descrive una ricerca basata sui racconti del primo ricordo rilasciati da 6.641 persone in una serie radiofonica della BBC andata in onda nel 2007.
I ricercatori, grazie all’analisi delle circostanze, della lingua, dei dettagli descrittivi e del contenuto delle testimonianze, riportano che quattro persone su dieci affermavano di avere ricordi di quando avevano circa due anni, e addirittura una su dieci faceva risalire i primi ricordi al primo anno di età. Si è anche osservato che sono gli anziani che in misura maggiore riescono a risalire indietro nel tempo con i ricordi d’infanzia.
Le attuali conoscenze in ambito neuroscientifico tuttavia indicano che i primi ricordi che possiamo richiamare alla memoria risalgono all’età compresa fra i tre e i quattro anni, legati ad episodi in cui si sono provate forti emozioni.
L’impossibilità di riportare alla memoria episodi precedenti è dovuta alla non accessibilità dei neuroni presenti nella regione del cervello dove i ricordi d’infanzia sono conservati. In seguito alla formazione di nuove strutture neuronali – principalmente nella regione dell’ippocampo - legate ai processi mnemonici nelle fasi successivi della crescita, le esperienze dell’infanzia restano come sepolte. Ma non significa che non lascino il segno nel nostro sviluppo, al contrario, è su quegli episodi che si formano molte delle caratteristiche della personalità che ci accompagnerà per tutta la vita.
Come spiega Martin Conway, coautore della ricerca citata, «Nessuno in genere si rende conto che il proprio ricordo è immaginario». Anzi, quando si fanno notare le contraddittorietà, le assurdità e le illogicità presenti nelle rievocazioni, si tende ad ignorarle. Anche perché le memorie immaginarie svolgono una parte fondamentale nella definizione del nostro sé, costituiscono una parte irrinunciabile della nostra identità e della nostra storia.
Che i ricordi, e non solo quelli dell'infanzia, possono essere ingannevoli non è in effetti una novità per chi si occupa di neuroscienza cognitiva. Le funzioni mnemoniche sono tutt'altro che perfette. La memoria è labile, soggetta a errori, blocchi e distrazioni. Altamente sensibile alle emozioni e suggestionabile dalle nuove conoscenze, costantemente rilegge e rivede il passato alterando i ricordi, talvolta creandone di falsi impossibili da distinguere da quelli veri.
Ma come riusciamo a immaginare un evento o un'azione che non abbiamo mai compiuto? Merito dell'estrema versatilità del cervello, che nasconde tra le pieghe dei suoi neuroni veri e propri «motori dell'immaginazione», capaci di ricombinare le esperienze e modellare le rappresentazioni di ciascun individuo, rendendole vivide, dandoci la percezione di un evento come se lo stessimo vivendo nel preciso momento in cui lo vediamo con la mente
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