Dove si nascondono gli alieni? Forse siamo soli
Se l'Universo e la nostra galassia pullulano di civiltà sviluppate, dove sono tutti quanti? Questa è la domanda che Enrico Fermi nel 1950, mentre lavorava al Laboratorio Nazionale di Los Alamos, negli Stati Uniti, rivolse ai suoi colleghi. In un Universo contenente almeno cento miliardi di galassie ognuna contenente in media cento miliardi di stelle e un numero incalcolabile di pianeti, possibile che gli esseri umani siano l'unica civiltà tecnologicamente avanzata in grado di inviare segnali nel cosmo? La discrepanza tra l'aspettativa di ricevere segnali da civiltà aliene e la loro assenza è passata alla storia come il Paradosso di Fermi.
In un recente articolo, intitolato «Dissolving the Fermi Paradox», alcuni ricercatori dell'Università di Oxford affermano che, dato il nostro attuale stato di conoscenze, c'è una probabilità che varia dal 53 al 99 percento di essere l'unica civiltà in questa galassia, e una probabilità che varia dal 39 all'85 percento di essere l'unica nell'universo osservabile. Anders Sandberg, Eric Drexler e Toby Ord sono giunti a queste pessimistiche conclusioni utilizzando metodi innovativi per la risoluzione dell'equazione che Frank Drake propose, nel 1961, per stimare il numero di civiltà all'interno della Galassia in grado di comunicare con la nostra.
Secondo i ricercatori, se non riceviamo segnali è perché siamo verosimilmente l'unica cultura tecnologicamente avanzata nell'universo osservabile. Se ne esistono altre sono molto al di là dell'orizzonte cosmologico, e quindi per sempre invisibili a noi. I precedenti tentativi di risolvere l'equazione riportavano generalmente valori troppo alti, rafforzando l'illusione del paradosso di Fermi che, con queste affermazioni, semplicemente scompare.
Affermazioni che hanno sicuramente suscitato scalpore, specialmente dopo che il CEO di SpaceX Elon Musk li ha twittati.
La risoluzione dell'equazione di Drake richiede che vengano valutati termini in gran parte speculativi come la frazione di stelle con pianeti abitabili, la frazione di pianeti che presentano forme di vita, quante di queste sono in grado di sviluppare una tecnologia che permette di rilevare la loro presenza, e il periodo di tempo in cui tali civiltà sono rilevabili. Bastano piccole variazioni nel definire uno dei parametri e i risultati cambiano considerevolmente.
Non sono pochi gli astrofisici che hanno valutato eccessivo il clamore mediatico generato dell'articolo, contestando l'oggettività dei metodi e dei giudizi utilizzati dagli autori per i loro calcoli. L'equazione di Drake viene considerata attualmente più come uno strumento per stimolare la discussione scientifica che come un metodo efficace per il calcolo della probabilità di ricevere segnali alieni. In attesa di dati migliori, secondo molti ricercatori, non vanno confuse le speculazioni con i fatti scientificamente quanto più accertati.
Le conclusioni, ricordiamo, riguardano solo la probabilità di captare segnali inviati da intelligenze extraterrestri. Non sono indice della probabilità che la vita si possa essere formata altrove nella vastità del cosmo, forse con organismi simili ai nostri batteri, o in forme che non siamo in grado di prevedere. La stessa definizione di vita sul nostro pianeta è ancora oggetto di dibattito (ad esempio quando si parla di organismi di natura non cellulare come i virus), così come non esiste una definizione univoca e universalmente accettata di intelligenza che, come dimostrano recenti studi su delfini, elefanti, corvi e polpi, non è una caratteristica solo umana.
La speranza di non essere soli nel cosmo, oltre che nell'interesse degli scienziati, è viva nell'immaginazione del pubblico, come dimostra il successo di film, libri e fumetti di fantascienza. Bisogna accettare che, al momento, non abbiamo certezze. In ogni caso, l'idea che l'umanità potrebbe essere l'unica civiltà che possa mai esistere in questo universo solleva seri interrogativi scientifici e filosofici.
Ne era ben cosciente Carl Sagan quando formulò il discorso Pale Blue Dot del 1990, ispirato alla fotografia del pianeta Terra scattata nel 1990 dalla sonda Voyager, che si trovava a sei miliardi di chilometri di distanza, dove il nostro pianeta appare come un insignificante piccolo punto blu. "La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto".
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