Coronavirus? L'intelligenza artificiale lo scopre dalle lastre
L’emergenza coronavirus sta sottoponendo ad una pressione inaudita tutta la macchina sanitaria. I medici di terapia intensiva sono al centro della tempesta, ma i radiologi non se la passano meglio. A loro spetta il compito di rilevare dalle lastre la presenza delle tracce del Covid-19.
Una diagnosi fondamentale, ma il volume degli esami da valutare e l’incertezza dell’andamento dei contagi (e di conseguenza dell'entità dei casi futuri) impone di premunirsi e trovare soluzioni che siano di aiuto nella fase diagnostica e alleggeriscano almeno in parte l’attività di medici e di giovani colleghi generosamente aggiuntisi in corsa, ma non sempre forti di una adeguata esperienza (difficile averla maturata all’inizio della carriera).
Aspetti sui quali si è concentrato il pool di aziende – tra cui due bresciane: Neosperience e Looptribe - unitesi per sviluppare in una logica del tutto no-profit sistemi di intelligenza artificiale al servizio della medicina in prima linea contro il coronavirus. Defeatcovid19, il nome scelto per il gruppo di lavoro che comprende anche il Tedh del Politecnico di Milano, Value China e il Consorzio Europeo Nestore.
Il risultato iniziale, anche se ancora in attesa di validazione, è il primo modello di machine learning per la predizione di Covid-19 positivi da immagini radiografiche, messo a punto, in particolare da Looptribe. «Non siamo i primi ad applicare l’intelligenza artificiale alla diagnostica, neppure sul fronte del coronavirus – precisa anzitutto Diego Ferri, data scientist, software architect e co-founder di Looptribe – ma fino ad ora in Cina sono stati sviluppati modelli che lavoravano sulle Tac. I medici del Sacco e del Policlinico di Milano con cui siamo in contatto hanno fatto presente che per praticità di impiego nei nostri ospedali sarebbe risultato molto più utile lavorare sulle lastre radiografiche, più che adeguate per individuare, ad esempio, una polmonite bilaterale, ma pure conseguenze sul piano cardiaco».
Il team si è messo al lavoro nell’intento di attivare un modello di machine learning con capacità predittive. Per addestrare gli algoritmi è però indispensabile disporre di radiografie da sottoporre all’analisi così da consentire alla rete neurale che è il cuore del sistema di distinguere quelle che attestano una polmonite da quelle invece di pazienti non affetti da quel tipo di patologia. E ancora di distinguere gli effetti di una polmonite batterica da quella virale causata dal coronavirus. «Difficile per ora avere questo materiale dai numerosi ospedali del Nord Italia cui li abbiamo richiesti, vuoi per scelta del comitato etico, vuoi per ragioni di tutela dei pazienti» spiega Ferri. Ma lungi dal farsi demoralizzare dalle difficoltà, gli esperti hanno individuato in rete, in capo alle due settimane dall’avvio del gruppo di lavoro, dei «dataset pubblici su polmoniti»: in pratica una raccolta di lastre toraciche frontali indispensabili per far capire alla rete neurale quando si tratta di polmonite e quando no. «E con un piccolo dataset di 100 foto di casi di Covid-19 la rete neurale ha già dato dei risultati interessanti».
Esiti che ora dovranno trovare conferma su una casistica più ampia: «Il sistema deve essere totalmente affidabile» tiene a sottolineare Ferri, che confida nell’aiuto dei circa 130 tra data scientist, medici e specialisti che si sono in pochi giorni uniti al canale Telegram attivato nell’ambito del progetto e agli altri circa 400 che hanno aderito ad una mailing list. Ognuno di loro può concorrere mettendo a disposizione dati e idee.
«Questo è un primo step, ma il sistema potrebbe essere molto più raffinato: con parametri quali età, sesso, patologie pregresse del paziente, ecc. si potrebbe avere delle indicazioni non solo sull’effettiva natura della patologia ma anche sull’indice di gravità».
Per ora si tratta di un prototipo, che previa validazione – «ci vorrano settimane, specie per le difficoltà burocratiche che confidiamo di superare anche grazie al bando Innova Italia lanciato per questa emergenza e cui abbiamo aderito» sottolinea Ferri – potrà poi tradursi in uno strumento a disposizione dei medici in prima linea.
Già, ma in un reparto di radiologia come potrebbe funzionare? «Le opzioni sono diverse, potrebbe lavorare con dietro un’architettura in cloud o con un sistema tutto in locale, ma essenzialmente il file della lastra verrebbe processato per restituire su un computer un numerino percentuale, quello dell’effettiva probabilità che si sia in presenza di coronavirus». Una possibilità che potrebbe alleggerire non di poco il carico di lavoro, almeno in fase preliminare, per i medici oberati di incombenze e pazienti.
Oggi il modello è stato reso pubblico sulla piattaforma Github: «È una soluzione totalmente open – spiega sempre Ferri di Looptribe -, non avrebbe senso altrimenti. Così chiunque abbia competenze e voglia metterle a disposizione può offrire il suo contributo»
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