Buco dell'ozono fattore di crisi
Nel 2020 le campagne europee produrranno oltre 16 milioni di tonnellate di frumento in meno rispetto a oggi. Che in soldoni fanno una perdita di circa 2 bilioni di euro per l'agricoltura della Vecchia Europa.
Non è certo positiva la notizia che emerge dallo studio, targato Onu, che indaga l'impatto dell'ozono sulle colture e sulla sicurezza alimentare: l'alveo dell'indagine è l'Icp Vegetation, ovvero il Programma di cooperazione internazionale sugli effetti degli inquinanti atmosferici sulla vegetazione seminaturale e le coltivazioni voluto dalle Nazioni Unite.
Il dato negativo è in parte mitigato dalla considerazione che il calo è comunque inferiore a quello registrato nel 2000: meno 26,9 milioni di tonnellate che valgono 3,2 bilioni di euro.
Questo perché le politiche anti-inquinamento hanno contribuito a rendere un pò meno grave la situazione.
Ma attenzione, avverte la comunità scientifica: anche se nei picchi più elevati c'è stata una riduzione, le concentrazioni di ozono nell'atmosfera e nell'aria sono ancora abbastanza alte da nuocere, nel tempo, agli ecosistemi e alla salute dell'uomo.
L'obiettivo dell'indagine che ha messo a punto una mappatura del «rischio» ozono in Europa - l'Europa a 27 più Svizzera e Norvegia - è di capirne il livello e, con maggiore precisione di quanto sinora fatto, con quali effetti. Sessanta tra ricercatori e delegati Onu del programma Icp sono approdati recentemente a Brescia per il meeting annuale, che si è svolto all'Università Cattolica grazie all'impegno del Dipartimento di Matematica e Fisica dell'ateneo di via Trieste, diretto da Antonio Ballarin Denti. Ne abbiamo approfittato per parlare con Gina Mills, la ricercatrice che con il collega Harry Harmens si è occupata del report su ozono e sicurezza alimentare. «Sono vent'anni che il mondo scientifico approfondisce il tema dell'inquinamento dell'ozono - ha premesso la Mills - Negli ultimi anni, però ci siamo concentrati su quella che noi chiamiamo background concentration». Ovvero dell'ozono che si accumula a livello del terreno».
È proprio a quel livello che si annidano i pericoli maggiori per la vegetazione e per l'uomo. Nella mappatura si è tenuto conto che le concentrazioni di questo inquinante sono influenzate dalle condizioni meteorologiche. Dall'indagine, infatti, è emerso che nel Sud dell'Europa, sono più alte. Ma pure le colture analizzate negli Stati centrali e Nord Europei non sono sfuggite ai danni da ozono. Spiega la Mills: «Le concentrazioni in quei Paesi sono meno elevate, ma il clima fa in modo che le piante assorbano più ozono». Cosa succede al granoturco, all'orzo, alle patate ai pomodori che crescono nei campi del continente? E alla lattuga, alla barbabietola e alla soia? «L'ozono si insinua attraverso piccoli pori sulla superficie delle foglie - precisa la Mills - . Sulle foglie iniziano a formarsi macchie gialle e marroni che le fanno morire prima, lo sviluppo dei semi si riduce. E i raccolti sono inferiori alle previsioni».
Un'azienda agricola in Grecia ha perso l'intero raccolto di lattuga proprio a causa dell'ozono. Non sempre gli agricoltori riescono a fare una diagnosi esatta della «ferita» da inquinamento che ha fatto danni nei loro campi. Nonostante le istituzioni stiano dando battaglia all'ozono e agli altri inquinanti, gli scienziati non sono ottimisti per le prossime decadi.
Paola Gregorio
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