«Senza relazione medico-malato anche la scienza perde significato»
«Senza la relazione anche le più grandi scoperte scientifiche perdono il loro peso e il loro significato». Lo psichiatra Vittorino Andreoli non ha dubbi. Convinto che, soprattutto oggi, «non è più possibile staccare il sapere dalle modalità con le quali viene applicato: esso acquista significato, infatti, solo in base alla relazione che instauriamo per applicarlo».
Le parole di Andreoli
La lettura magistrale di Andreoli, psichiatra, neurologo e membro della New York Academy of Sciences, sul tema «Umanizzare le cure: che cosa significa?» è stata uno dei punti di forza della mattinata che ieri ha impegnato in aula magna di Medicina moltissime persone - studenti in particolare - per il convegno «Accogli e ascolta, informa e spiega, educa e stai vicino, accompagna nelle cure» promosso dall’Ordine dei Medici, dall’Università degli Studi e dalle Associazioni «Dall’altra parte - medici, infermieri, operatori sanitari e malati insieme» e «APRIREnetwork - assistenza primaria in rete - salute a Km 0».
Cambiare passo
Andreoli ha rivolto un invito al rettore Francesco Castelli e a coloro che stanno lavorando alla riorganizzazione del corso di laurea in Medicina: «Non si tratta solo di insegnare il sapere agli studenti, ma anche le modalità in cui la disciplina verrà applicata sul paziente. L’uno e l’altra devono essere un tutt’uno e questo non per essere fedeli ad un pensiero filosofico, o a un’idea religiosa di generosità e bontà, ma perché solo in questo modo si ha anche un risultato scientifico perché la modalità di relazione è parte dell’effetto diagnostico e terapeutico».
L’evoluzione
Nella sua analisi, Andreoli ha ripercorso l’evoluzione della specie, sottolineando la particolarità che caratterizza gli esseri umani che sono «imperfetti, ma con la caratteristica di potersi staccare dalle pulsioni, di riuscire a frenare, controllare e deviare gli istinti». Dunque, imperfezione e fragilità in contrapposizione con forza e potere. A dominare è il noi, ovvero il bisogno di relazionarsi con gli altri.
«In questo contesto, è necessario distinguere tra società e civiltà. La prima - ha spiegato Andreoli - può contenere diverse civiltà e si riferisce al nostro adattamento ambientale e alle leggi che promulghiamo in un preciso momento storico. La civiltà, invece, riguarda ciò che l’animale-uomo ha imparato a costruire e a fare attraverso le sue capacità psichiche, frutto di quel processo di evoluzione che ci permette di parlare in modo diverso e anche antitetico. Del resto, l’ambiguità appartiene alla psiche e noi, esseri umani, abbiamo molto valore proprio perché con il pensiero siamo in grado di immaginare anche quello che non c’è».
Società e civiltà
E se prerogativa di una società sono le leggi dalle quali è normata, una civiltà invece è caratterizzata dai principi primi. «La medicina si deve fondare sui principi primi» ha aggiunto Andreoli, che ne ha elencato quattro.
Intanto, la relazione, ovvero la capacità di percepire il bisogno dell’altro. Poi, la morte e il mistero che la avvolge: una civiltà deve conoscere il lutto e il viaggio che lo accompagna. «Aspetti che noi abbiamo dimenticato e banalizzato» ha sottolineato lo psichiatra. Poi, il dolore. «Certo, è un sintomo, ma non si può immaginare una relazione senza dolore: non esiste umano senza dolore così come non esiste la morte senza la percezione della nostra esistenza».
Quindi, se si vuole riannodare il filo dell’umanizzazione delle cure, tema dell’analisi, non si può prescindere «da un concetto fondamentale: uno dei principi primi della nostra civiltà è il rispetto dell’altro come persona e, per il medico, il principio primo è non disgiungere la disciplina e la scienza dalle modalità con le quali vengono applicate sui pazienti».
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