Covid, «i bimbi con la malattia di Kawasaki non hanno più rischi»

Il report dell'Istituto superiore di sanità: non ci sono prove che possano contrarre più facilmente il coronavirus
Nel reparto di Pediatria - Foto © www.giornaledibrescia.it
Nel reparto di Pediatria - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Per bambini che hanno avuto la malattia di Kawasaki non vi è al momento alcuna prova scientifica che siano esposti ad un rischio maggiore di contrarre l'infezione da Sars-CoV-2 o di una recidiva. Lo scrive l'Istituto Superiore di Sanità (Iss) nel primo piano pubblicato ieri sul suo sito.

Alcuni studi descrivono una sindrome infiammatoria acuta multisistemica fra bimbi e adolescenti, associata a positività per il Sars-CoV-2 o presenza di anticorpi che sembrerebbe condividere alcune caratteristiche con la Kawasaki ma, secondo l'Ecdc (European centre for disease prevention and control) e l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) sarebbe una forma differente da Kawasaki e ancora da definire.

In generale, riguardo al Covid pediatrico, l'Iss sottolinea che «i dati sono tranquillizzanti»: al 14 maggio, fra i 29.692 deceduti positivi all'infezione Sars-CoV-2 sono stati rilevati 3 casi nella fascia di età 0-19 anni. Tornando alla sindrome infiammatoria, nel suo primo piano l'Istituto superiore di Sanità chiarisce che si tratta di «un evento grave, ancorché raro, che merita tutta l'attenzione di pediatri, infettivologi, reumatologi, cardiologici». «Soprattutto considerando l'associazione con la pandemia - dice Domenica Taruscio, direttore del Centro nazionale malattie rare dell'Iss - è infatti importante identificare precocemente i pazienti, ricoverarli tempestivamente ed effettuare un accertamento diagnostico per avviarli al trattamento appropriato».

Il rapporto dell'Iss fa riferimento a un documento pubblicato dall'Ecdc (European centre for disease prevention and control) il 15 maggio in cui vengono riportati 230 casi sospetti nell'Unione Europea e nel Regno Unito, con due decessi. I piccoli pazienti colpiti hanno un'età media di 7-8 anni, fino 16 anni, e hanno presentato un interessamento multisistemico grave, a volte con necessità di ricovero in terapia intensiva. Il reale numero di questi soggetti è ancora in fase di valutazione, così come il preciso inquadramento di questa condizione, attualmente chiamata «sindrome infiammatoria acuta multisistemica».

Dati sia italiani che inglesi dimostrano che lo sviluppo di questa sindrome segue di 2-4 settimane il picco di infezione da Sars-CoV-2, per cui si ipotizza una patogenesi immunomediata e non legata ad un'infezione diretta del virus. Le caratteristiche della sindrome comprendono un'eccessiva risposta infiammatoria, con febbre elevata, shock e prevalente interessamento miocardico e anche gastrointestinale. Le opzioni terapeutiche comprendono immunoglobuline, steroidi, farmaci anticitochinici. Le terapie comprendono immunoglobuline, steroidi, farmaci anticitochinici.

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