Come affidare, dopo la morte, il proprio corpo alla scienza

Adesso c’è la legge, approvata nel febbraio 2020, i decreti attuativi sono in vigore da fine 2021
Un microscopio (simbolica)
Un microscopio (simbolica)
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Un’altra scelta difficile è ora possibile. A permetterlo è una legge, approvata nel febbraio 2020 ma i cui decreti attuativi sono in vigore dalla fine del 2021, che consente di donare il proprio corpo dopo la morte alla ricerca scientifica e alla formazione dei giovani medici.

Un’opportunità importante, perché consente anche nel nostro Paese migliori percorsi di formazione per medici, specializzandi e chirurghi, e di far avanzare la ricerca scientifica a favore del progresso delle conoscenze e della migliore qualità di vita per tutti. Uno degli undici centri di riferimento per la conservazione e l’utilizzazione dei corpi donati alla scienza è stato individuato dal ministero della Salute nell’Università degli Studi di Brescia che ha il compito di formare i futuri medici in convenzione con l’Ospedale Civile.

La legge stabilisce quattro punti fondamentali. Il primo riguarda il rapporto tra la donazione e il consenso della persona che dona. Nel testo si legge che sono utilizzabili solo «il corpo e i tessuti di coloro che hanno espresso in vita il loro consenso». Che deve essere rilasciato attraverso un’apposita dichiarazione, redatta con atto pubblico o scrittura privata consegnata personalmente dal disponente. La dichiarazione deve essere depositata all’Agenzia di tutela della Salute di appartenenza. Compete ad Ats la registrazione e la trasmissione alla banca nazionale dati. Un terzo aspetto riguarda la nomina obbligatoria di un fiduciario cui spetterà l’onere di comunicare l’esistenza del consenso e di interloquire con il medico che accerterà il decesso. Infine, la restituzione del corpo del defunto, che deve essere fatta entro dodici mesi (se esiste una volontà redatta e depositata, i familiari del defunto non possono opporsi).

La donazione del corpo post mortem per fini di studio e di ricerca è compatibile con quella di organi, tessuti e cellule. Molteplici sono le ragioni di una scelta coraggiosa e importante. Innanzitutto, per un aiuto concreto alla ricerca scientifica, con ricadute positive sull’avanzamento delle conoscenze e sullo sviluppo di nuovi farmaci, tecniche chirurgiche e terapie.

Poi, per la formazione dei medici: malgrado lo sviluppo di modelli virtuali e alternativi, la pratica della dissezione anatomica è ancora oggi considerata essenziale alla formazione. Ci sono anche ragioni etiche. Di solidarietà, perché si tratta di una decisione assunta per gli altri, senza che chi la compie possa godere in modo diretto dei benefici. E di reciprocità: tutti noi abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti di chi, nei secoli, ha consentito con i propri corpi il progresso della ricerca.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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