«Cari genitori», perché gli adolescenti cercano il rischio
Ogni mercoledì la rubrica «Cari genitori», curata da Giuseppe Pino Maiolo, propone pillole di riflessione educativa, che potranno partire da una notizia di attualità.
Oggi partirei da un grave fatto di cronaca degli ultimi giorni per parlare del rischio in adolescenza. Avrete sentito di quel ragazzo di 15 anni di Bolzano presunto terrorista, attivo in un gruppo internazionale che stava progettando un’azione terroristica.
Al di là della gravità del fatto in sé, a me ha colpito subito l’età del ragazzo che deve aver iniziato a frequentare gruppi violenti alcuni anni fa. Questo fa pensare che la generazione Alpha dei nati tra il 2010 e il 2013, ormai conclude prestissimo l’infanzia. Ma se si entra prima nell’adolescenza i comportamenti rischiosi ed estremi cominciano presto.
Alcuni di questi rischi sono fisiologici, cioè normali: perché quando il corpo cambia e si trasforma il modo di vedere la vita, e i comportamenti possono essere un modo per vedere fino dove ci si può spingere e far vedere che non si è più bambini. Il rischio è provare cose nuove e anche emozioni forti come correre magari «a fari spenti nella notte» cantava Battisti.
Per quale motivo?
Per vedere cosa succede. E gli studi dicono che tra i 15 e i 19 anni il rischio di morte, dopo gli incidenti stradali, è dato da condotte violente, comportamenti autolesivi e azioni spericolate. In parte è responsabile la trasgressività frequente dei giovani, che amano violare le regole e i limiti. Ma è solo da questo che i giovani rischiano.
Secondo le Neuroscienze il cervello degli adolescenti è come il motore di un bolide dotato di grande potenza e energia. Il problema è che questo bolide ha i freni difettosi. La spiegazione? Non tutte le aree del cervello maturano nello stesso tempo. Alcune parti come i lobi frontali che gestiscono i cambiamenti e sono però anche la sede dell’autocontrollo, non si completano prima dei 23-25 anni.
Allora l’adolescente benché sembri un esperto in molte attività è attratto da immediate ricompense è però ancora un apprendista, uno che sembra saper fare, ma non sa fermarsi. Non è che non vuole, non ci riesce da solo e ha bisogno sempre di un istruttore attento che a volte lo faccia per lui, se c’è un pericolo.
La metafora è chiara, l’adolescente è come uno che apprende a guidare ma ha ancora più bisogno di un adulto che gli stia a fianco e lo controlli ma che sia anche in grado di intervenire e frenare quando c’è bisogno.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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