«Cari genitori», le parole che servono in adolescenza
Ogni mercoledì la rubrica «Cari genitori», curata da Giuseppe Pino Maiolo, propone pillole di riflessione educativa, che potranno partire da una notizia di attualità.
Comunicare non è cosa facile per nessuno, ancora di più oggi con l’affollamento incredibile degli strumenti per la comunicazione. Di solito ci parliamo addosso e non ci ascoltiamo. In adolescenza le cose si complicano perché le parole tra adulti e ragazzi sono poche e le comunicazioni tra genitori e figli rarefatte.
In genere aumentano i silenzi che si alternano alle urla e si sovrappongono ai pensieri. Per crescere invece ci sarebbe bisogno di parole diverse, meno infantili, e nuovi costrutti verbali. Servirebbero adulti di riferimento capaci di ascoltare molto e parlare quel poco che serve.
Condividere le emozioni
Se i ragazzi si lamentano dicendo «Non ce la faccio, mi sento un fallito» ai genitori non vien in mente che d’incoraggiarli con un «Ma no, ce la puoi fare!». E questo non aiuta, non serve, anzi blocca e fa retrocedere. Perché non contiene l’ascolto e non comunica quanto il genitore sia partecipe delle emozioni intense che l’adolescente vive in quel momento.
Servirebbe di più condividere quei sentimenti dicendo «Capisco quello che senti e penso sia l’angoscia di non farcela». Ma poi varrebbe la pena aggiungere «Però prova a pensare cosa ti servirebbe per farcela…». Di sicuro nel mestiere difficile e complesso del genitore, in agguato c’è sempre la sfiducia, cioè un sentimento negativo che ti fa pensare a un figlio che non si impegna.
Così di seguito alle loro richieste, anche le più necessarie, spesso c’è un «no» come risposta dell’adulto. Ma in adolescenza non basta negare, anche se servono i limiti. I ragazzi a quell’età si aspettano dagli adulti motivazioni «forti» e argomentazioni valide. E poi le parole non possono chiudere la comunicazione tantomeno essere barriere. Hanno invece il dovere di aprire dialoghi.
La risposta giusta?
Se come adulti non abbiamo risposte adeguate piuttosto che una perentoria negazione è meglio dire «Dovrò pensarci». O aggiungere un «Si,.. ma» che è un modo per tenere aperta la comunicazione e dialogare per trovare accordi.
Per cambiare un comportamento, invece di appellarsi all’impegno e alla «volontà» che non risolve tutto ed è assai debole in quegli anni, vale la pena dire «Quali idee hai per cambiare?». In aggiunta «E se ancora non funziona?» come domanda per un piano B che è un importante allenamento per immaginare come affrontare gli inciampi.
Parlare di sé
Infine piuttosto che insistere sempre e solo sugli errori dell’adolescente, è utile che il genitore racconti di sé, parli degli sbagli del passato, dica i suoi fallimenti. Le parole della propria vulnerabilità e la storia personale, che di solito i figli conoscono poco, sono una narrazione che mostra empatia e interesse. Lo diceva anche un grande esperto di adolescenza, un maestro, lo psichiatra Tommaso Senise: «La comunicazione empatica, la comunicazione emotiva, ha nel nostro rapporto con l’adolescente un’importanza condizionante il rapporto stesso!».
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