«Cari genitori», il vuoto che c’è dietro i ragazzi che uccidono
Ogni mercoledì la rubrica «Cari genitori», curata da Giuseppe Pino Maiolo, propone pillole di riflessione educativa, che potranno partire da una notizia di attualità.
Un altro fatto di grave violenza tra due giovani ci ha scosso in questi giorni. Quel ragazzo di 19 anni che accoltella Manuel senza alcun motivo, forse solo per rubargli un paio di auricolari. Ma è ormai chiaro a tutti che in questi fatti, apparentemente incomprensibili, non vi è la follia, né la perdita improvvisa della ragione, non una lite o una vendetta. Non c’è nulla.
Quasi sempre chi ha ucciso dice di non sapere perché lo ha fatto e per quale ragione ha accoltellato parenti o sconosciuti incontrati in una strada di notte. Allora non scomodiamo per favore categorie particolari come la malattia mentale o il degrado socio-culturale, la povertà economica o il paese di provenienza. Ci saranno anche queste cose ma piuttosto c’è il vuoto totale che dilaga nelle esistenze di questi ragazzi che escono di casa come per andare a una festa ma con un coltello in mano.
Indifferenza, distrazione, incoerenza
Analfabeti delle emozioni questo sì, sono ovunque i giovani che ci stanno attorno i quali sembra non abbiano le parole per dire di loro stessi e della loro esistenza. Ma come mai? La prima cosa che mi viene è che non gliele abbiamo insegnate. Li stiamo facendo diventare grandi con la nostra indifferenza, con tanta distrazione e distanza. Perché proviamo a chiederci se sappiamo come stanno, quali desideri si portano dentro e soprattutto se siamo una famiglia e una comunità che li vede e li ascolta. Mi colpisce sempre sentire dopo un evento tragico «Era un bravo ragazzo. Non me lo sarei mai aspettato».
Ricordo un procuratore di Bergamo che diversi anni fa, davanti ai ragazzini che gettavano pietre mortali dal cavalcavia, dopo l’interrogatorio, disse: «Teste vuote, dove non c’è dentro nulla!». Sono passati anni e siamo ancora lì, anzi peggio. Qualcosa ci deve essere sfuggito di noi e dei figli.
Domandiamoci allora se l’educazione che stiamo fornendo spesso urlata e confusa, fatta di distrazione e incoerenza è quella serve per farli crescere. Chiediamoci cosa stiamo facendo per arginare la cultura della violenza che fa premeditare una strage di famiglia senza che nessuno se ne accorga.
Pensare, capire, parlare
Prima di pensare a pene più severe e a punizioni esemplari, chiediamoci che cosa facciamo dentro casa e quanto siamo in grado di confrontarci con i figli guardandoli negli occhi, quanto sappiamo dei dubbi che hanno o quanto sappiamo gestire i conflitti quotidiani. E poi fermiamoci a parlare con loro di questi accadimenti, anzi ogni volta vediamo insieme quello che provano e quali pensieri si fanno. Ascoltiamoli senza intervenire.
Smettiamola di insistere sulla competizione sfrenata e sull’idea che «tutto è possibile». L’abbiamo inventata noi adulti questa frase e li abbiamo imbrogliati ogni volta che di fronte a quei loro comportamenti negativi o sbagliati abbiamo detto che erano solo «bravate». Partiamo intanto da queste semplici cose per provare a cambiare.
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